Un affresco dolce, un fluire di parole carezzevoli, lì dove si percepisce un dolore tagliente e composto, e no… non è un ossimoro. I morti giovani rimangono sospesi, come se svolazzassero in un tempo indefinito, per certi versi eterno, che è comunicativo: chi muore precocemente resta, spesso, con qualcosa da dire, con una parola tra i denti, soffiata al vento.
Probabilmente anche Francesco Occhiuto, precipitato dall’ottavo piano lo scorso 21 febbraio e morto poche ore dopo, ci ha lasciato qualcosa, un messaggio eloquente, anche emblematico. La nostra è una società che svaluta l’empatia: la capacità che hanno pochi, di capire il dolore degli altri, del mondo, di toccarlo plasticamente. Rimangono soli, in silenzio, pur riuscendo a sfiorare le radici di ogni emozione, di qualsiasi dinamica, del vivere. Vorrebbero salvare, appunto, ma camminano con fardelli pesanti, sotto i quali rischiano di rimanere schiacciati. È il caro prezzo dell’essere speciali, non è retorica, cari lettori.
Il ricordo sincero di Mario Occhiuto
Mario Occhiuto, padre di Francesco, politico, senatore di Forza Italia, sebbene in una pozzanghera di dolore, ha raccontato il figlio in una intervista sul Corriere della Sera, uscita ieri, a cura di Carlo Macrì. Un affresco carezzevole, intenso e razionale, che fa molto riflettere: «Una volta mi disse – racconta al Corriere il senatore Occhiuto – “Papà, io sogno a occhi aperti e immagino di essere un supereroe”. La presi come una fantasia giovanile, gli dissi che lo facevo anche io da ragazzo. Ma per lui non era un semplice gioco della mente, era qualcosa che scavava in profondità. Studiava psicologia, leggeva moltissimo, cercava risposte dentro se stesso. Voleva capire, aiutare. Forse anche salvarsi». E poi continua: «Conoscere la mente umana, non significa automaticamente sapersi salvare. Capire gli altri è più semplice che guardarsi dentro». Capita a un sacco di persone, se ne stanno composti per strada, nei loro tempi vivi.
Pensieri sfumati
L’affollamento di pensieri, spesso anche taglienti, scomodi ,dolorosi, è appannaggio delle menti sensibili, ce lo insegna la filosofia da millenni. Mario Occhiuto parla con sincerità, a cuore aperto, riferendosi a Franceco: «Aveva una mente brillante, ma anche affollata di pensieri. Mi diceva spesso che faticava a concentrarsi, che il controllo della sua mente lo assorbiva». La sensazione struggente di pedalare a vuoto, di non essere capito, dilemma di molti giovanissimi, «Un giorno mi confidò: “Papà, forse alcuni mi vedono distante, chiuso, ma nessuno immagina che il mio è un malessere interiore. Nessuno sa quanto sto lottando…».
Noi e gli altri: l’eterno dissidio
Francesco voleva aiutare gli altri, desiderio che appartiene agli animi sofferti, alle coscienze pure e critiche. Dice suo padre, a proposito: «Voleva essere lui ad aiutare. Eppure, quando è arrivato il momento più difficile, nemmeno tutto il suo sapere lo ha salvato». Parole fortissime, che pesano quanto un macigno sulle teste di tutti. Questo racconto è amaro e bellissimo, eppure, a prescindere dalla storia di Francesco Occhiuto, gli adulti non ascoltiamo, insegniamo solo e sempre a sopravvivere, che, più comunemente, vuol dire ignorare e scappare. Una finta corazza di empatia mozzata e superficialità imposta.