Vini, sostenibilità, territorio, sviluppo, sono parole sempre più diffuse e utilizzare, anche in Calabria. La narrazione è cambiata, si è arricchita, lo capirebbe anche un bambino: c’è un certo dinamismo, una voglia di creare, promuovere, raccontare che interessa i produttori, grandi e piccoli, vecchi e giovani. Uno scenario confortante, soprattutto se si volge lo sguardo al passato e allora, si comprende quanta strada sia stata battuta.
La tre giorni di Slow Wine a Bologna per la Calabria, prima volta con uno spazio regionale, si è conclusa con il botto: le aspettative erano alte, ma si è andati oltre. A partecipare, dal 23 al 25 febbraio, sono state 33 aziende calabresi, di cui cinque produttrici di amaro. Come ci ha raccontato la presidente di Slow Wine Calabria, Alessandra Molinaro, critica enogastronomica, che in questi anni ha lavorato tanto, una donna dagli orizzonti larghi.
Slow Wine Fair a Bologna, una manifestazione riuscita
La presidente ha tracciato un bilancio molto positivo: «Abbiamo avuto tutte le master class sold out, sono rimasta stupita. Le prime lezioni, domenica scorsa, hanno registrato adesioni anche a livello internazionale. Grande attenzione, inoltre, da parte dei produttori di altre regioni. Il fatto che la Regione Calabria abbia deciso di sostenere la partecipazione delle aziende, con uno spazio interamente dedicato, è stato importantissimo. E le impressioni sono tutte positive, c’è una ribalta: fino a una quindicina di anni fa, i vini calabresi non erano considerati di alta qualità. Sono piaciute, devo dire, molto anche le persone dietro ai vini e l’intento dei focus, organizzati allo stand regionale, era proprio questo. Ci sono stati produttori piemontesi, che per tutte le tre giornate, sono stati nello spazio Calabria. Come Slow Wine raccontiamo le aziende sostenibili, innovative, che guardano al futuro. Il valore di una bottiglia di vino è dato dal fattore umano ed etico».
Una scoperta chiamata Calabria
Il mercato vinicolo calabrese è cresciuto negli ultimi quindici anni, grazie al modello Cirò: «Per quanto esistessero già marchi importanti, – ci racconta Alessandra – da Cirò in poi è stato un crescendo. Ci sono stati produttori, in questi anni, che hanno dato importanza ai loro vitigni autoctoni, vinificando in purezza. È stata una presa di consapevolezza: capire che non necessariamente bisognava seguire gli altri. Questo pensiero oggi sta dando i suoi risultati».
Abbiamo chiesto ad Alessandra Molinaro quale sia la morfologia della provincia di Vibo Valentia, che negli ultimi tempi si sta facendo strada: «Mi vengono in mente Zibibbo e Magliocco Canino, quest’ultimo propriamente tipico del territorio. Lo Zibibbo era, nell’immaginario collettivo, un vitigno siciliano, vinificato in dolcezza, ma oggi c’è una strada tutta calabrese». Alessandra Molinaro è ottimista: «Il futuro lo immagino roseo. Da due anni a questa parte c’è l’interesse a conoscere la Calabria, anche dal punto di vista gastronomico».
Una tendenza che riscontriamo. Esiste un movimento di idee e progetti, di cui si parla poco in Calabria e abbastanza oltre i confini.