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Vibo. Dai pini di Piazza Salvemini alle basole di via Gagliardi e altro… Menniti replica a Caruso Frezza

Il commissario provinciale di Europa-Verde Verdi della provincia di Vibo Valentia risponde punto per punto alle critiche mosse dal vice presidente di Italia Nostra

di Redazione
2 Marzo 2025
in Politica
Vibo. Dai pini di Piazza Salvemini alle basole di via Gagliardi e altro… Menniti replica a Caruso Frezza

Gianpiero Minniti e, a destra, Alessandro Caruso Frezza

Europa Verde – Verdi della provincia di Vibo Valentia prende posizione sui temi sollevati da Italia Nostra, per voce di Alessandro Caruso Frezza, vice presidente della sezione di Vibo Valentia di Italia Nostra il quale, recentemente, ha lanciato una «petizione online per salvare l’antica pavimentazione di via Luigi Razza, si contrappone all’abbattimento di 18 pini domestici in piazza Salvemini e ha denunciato quella che, secondo il suo parere, rappresenta la “distruzione” della pavimentazione di via Enrico Gagliardi».

L’agronomo: 13 piante su 18 in condizione di compromissione estrema

Gianpiero Menniti, commissario provinciale di Europa-Verde Verdi della provincia di Vibo Valentia, contesta tutta la narrazione proposta da Caruso Frezza e da altri: «A cominciare – dice – dal tema dei pini di piazza Salvemini, una battaglia che si fonda su un inconsistente concetto di tutela di beni naturali. I pini in questione erano malati da tempo poiché quell’insediamento arboreo, ab origine, era stato mal definito e ancora più malamente abbandonato ad uno stato d’incuria pluriennale. Questa premessa – prosegue Menniti – è essenziale per definirne il valore nullo degli arbusti in questione perché attribuito a piante da tempo malate o in corso di ammaloramento. Non vogliamo accettare che si tratti di un valore nullo? Allora, con coraggio si dica che la situazione attuale porterebbe lo stesso impianto a perire e con esso il suo presunto valore ambientale».

D’altra parte – aggiunge Menniti – , «la perizia effettuata dall’agronomo incaricato dal Comune ha sancito questa atavica verità classificando ben 13 piante sulle 18 esistenti in condizione di compromissione estrema (categoria D, l’ultima) che così può essere definita: “Gli alberi che appartengono a questa classe, al momento dell’indagine, evidenziano sintomi, segni o difetti gravi, riscontrati con un controllo visivo e di norma con indagini strumentali. Le anomalie riscontrate sono tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell’albero si sia ormai esaurito. Per tali alberi, le prospettive future si possono definire gravemente compromesse. Qualsiasi intervento di riduzione del livello di pericolosità, potrebbe risultare insufficiente o realizzabile con tecniche contrarie alla buona pratica dell’arboricoltura. Le piante che appartengono a questa classe devono essere abbattute”».

Stralci della relazione tecnica in questione

Detto questo, Menniti prosegue e cita stralci della relazione tecnica in questione: “Tra le principali cause di instabilità delle piante si evidenziano un sistema radicale danneggiato e gravemente compromesso, presumibilmente a causa di condizioni ambientali avverse o interventi inadeguati, e una gestione manutentiva insufficiente. Questi fattori hanno progressivamente indebolito la struttura della pianta, portando al suo cedimento. L’evento evidenzia l’importanza di adottare pratiche gestionali più accurate e mirate a garantire la sicurezza e la salute delle alberature urbane“.

E ancora: “Il pino domestico pur essendo una specie poco esigente nei confronti del terreno, preferendo quelli sabbiosi e freschi, non tollera invece i terreni troppo calcarei, compatti e/o eccessivamente acquitrinosi. Considerati gli accrescimenti sostenuti, spesso in ambito urbano si è fatto uso improprio di questa specie, mettendo a dimora piante in siti non adeguati, caratterizzati da suoli pesanti e/o compatti e con poco spazio per lo sviluppo delle radici e della chioma”.

E ancora: “Un’ulteriore problematica riscontrata nel verde urbano è una gestione inadeguata per lo sviluppo della pianta. In particolare, si evidenziano la mancanza di interventi di potatura di mantenimento della chioma, che determina una diffusa presenza di rami secchi; e la pratica di effettuare tagli su intere branche di piante adulte. Questi interventi inappropriati compromettono la capacità della pianta di rimarginare le ferite, creando condizioni favorevoli per l’attacco di organismi fitopatogeni, come funghi cariogeni e altri patogeni del legno”.

Ma non basta: “Un ulteriore elemento da considerare riguarda la valutazione complessiva del gruppo di piante. È importante sottolineare che condizioni di questo genere devono essere analizzate nel loro insieme e non solo in modo individuale, poiché si tratta di esemplari appartenenti alla stessa specie, caratterizzati da una struttura monoplana e coetaneiforme. Queste formazioni mantengono forza e stabilità finché tali caratteristiche restano inalterate. La loro gestione richiede interventi mirati e costanti, che, in questo caso, non sono stati effettuati. Per questa ragione, l’eliminazione di alcuni alberi, oggi eccessivamente danneggiati, potrebbe compromettere ulteriormente la già precaria stabilità delle piante rimanenti”.

Infine: “… Si raccomanda la loro sostituzione con specie arboree caratterizzate da apparati radicali fittonanti, in grado di garantire una maggiore stabilità al terreno e di ridurre sensibilmente il rischio di cedimenti. La selezione delle nuove specie dovrà essere effettuata tenendo conto della loro compatibilità con le condizioni ambientali e pedologiche del sito, per favorire uno sviluppo armonioso e sostenibile della vegetazione nel lungo termine”.

«Quale difesa di un complesso arboreo compromesso? Nessuna»

«Ora – argomenta Menniti – quale giustificazione può essere addotta a difesa di un complesso arboreo radicalmente compromesso? Nessuna soluzione tranne una: abbatterli nel più breve tempo possibile e sostituirli – con almeno dieci piante per ognuna soppressa – con specie arboree adatte allo stato dei luoghi e del terreno in particolare. Perché la sostanza è questa: quei pini erano inadatti e il loro decorso esiziale, ormai riscontrato platealmente, deve far protendere, chi ami davvero la natura e la sua integrazione virtuosa in un contesto urbano, alla loro sostituzione e contemporaneo incremento con alberi che possano crescere sani e rigogliosi, trasformando un vetusto, ingrigito e morente pezzo di città in un vero e rinnovato polmone verde. Questo è vero ambientalismo. Il resto è vano “tombalismo” francamente inaccettabile».

Basole di via Gagliardi

Ma la disamina di Menniti non finisce qui: «Sulle ormai famose basole di via Gagliardi, quella che cita Caruso Frezza è una norma del codice penale (delitto doloso) che prevede la distruzione voluta e consapevole di un bene culturale. Ebbene, anche qui la premessa è inconsistente: un bene culturale si può definire così solo se e dichiarato tale da un provvedimento amministrativo, in genere un decreto ministeriale o una dichiarazione di interesse pubblico e simili. Tuttavia, uscendo dalla generalizzazione, si deve correttamente aggiungere che nel caso in questione si tratta di beni culturali ope legis ex articolo10 comma 4 lettera g del Dlgs 42/04. Lo affermo e nonostante questo, aggiungo che non mi risulta sia intervenuto alcun accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico delle basole in questione e del manufatto complessivo. Tuttavia, mi risulta ben altra fondamentale determinazione: che il Comune abbia richiesto alla competente Soprintendenza l’autorizzazione ad effettuare l’intervento di cui trattiamo e che tale procedimento sia stato, correttamente, autorizzato».

«Quella inverosimile forzatura»

Dunque, «la rimozione di basole per effettuare dei lavori con successiva rimessione in pristino, in nulla può essere ricondotta alla fattispecie giuridica e alla denuncia che solleva il Caruso Frezza. Ma di più: proporre le basole degli scalpellini vattelapesca come “bene immateriale” è un’inverosimile forzatura che, questa sì, davvero, lede in modo consistente quanto banale la vera natura dei beni immateriali riconosciuti dall’Unesco, una lista rigorosa nella quale non sono inclusi gli scalpellini e le basole di Caruso Frezza. Ancora peggio: ipotizzare che una procedura d’appalto avviata da tempo possa essere sospesa sulla base dei presupposti inconsistenti inopinatamente proposti, evidenzia una visione quanto meno dubbia della materia amministrativa, nella quale non si tiene conto dei danni e degli effetti risarcitori ai quali un ente comunale verrebbe sottoposto con una soccombenza quasi certa. Ma come si potrebbe pensare di amministrare così una città? E dov’era Caruso Frezza quando i progetti di “rigenerazione urbana” venivano presentati in pompa magna dalla vecchia amministrazione Limardo?».

«Monteleone ha lavorato in una condizione disastrosa che s’è trovato ad affrontare»

Le scelte compiute da Monteleone, che «peraltro sono più che legittime, a parere dell’interessato, «debbono essere ricondotte sotto l’effetto di una condizione disastrosa che il neo assessore ai Lavori pubblici s’è trovato ad affrontare. Quale disastro? Oltre 80 cantieri della cosiddetta, per l’appunto, “rigenerazione urbana”, una scelta di puro sfregio della città e un esempio di pessima visione ereditata dall’amministrazione Limardo, uno stato di cose sul quale, unico punto di contatto e di accordo con Caruso Frezza, io stesso e i Verdi di Vibo Valentia ci troviamo assai critici: non ci piacciono affatto i progetti presentati e poi in fretta successivamente cantierati. Ma cosa fare? Cosa avrebbe dovuto fare l’amministrazione Romeo e il suo assessore ai Lavori pubblici? Secondo chi vaneggia, avrebbero dovuto gettare tutto in malora e produrre così un caos inestricabile».

Al contrario, «secondo chi ragiona, avrebbero dovuto, con senso di responsabilità, buon senso e competenza tecnica ma anche ottime doti di pazienza e di garbo, cercare di salvare il salvabile e correre veloci per portare a definizione queste “bombe urbanistiche” riportando la città in una condizione di vivibilità. Ebbene per fortuna la scelta è stata quest’ultima: la soluzione più sensata. L’unica possibile. L’unica basata sul ragionamento. Come accaduto per Piazza Luigi Razza meglio conosciuta come Piazza Santa Maria: lì l’assessore è riuscito a mitigare gli effetti di un’impostazione errata di alcuni livelli, consegnando alla fine un manufatto quanto meno accettabile», dice sempre Minniti.

«Tema serissimo la tutela del patrimonio architettonico»

«Ci piace? No, per nulla. Tuttavia, il resto, qualunque resto, sarebbe stato inaccettabile delirio che avrebbe prodotto in quel caso e produrrebbe oggi solo danni ulteriori a questa povera Vibo Valentia. La tutela del patrimonio storico e architettonico è un tema serissimo che occorre affrontare con una base di concretezza: qui sembra si voglia risvegliare dalla tomba il romanticismo insensato di John Ruskin con le sue farneticanti visioni del restauro come “immorale”. Si legga piuttosto la teoria del restauro di Viollet-Le-Duc o del nostro Gustavo Giovannoni che si occupò lungamente e proficuamente del problema dei centri antichi, della loro salvaguardia e della loro valorizzazione, elaborando una teoria capace di conciliare le ragioni della trasformazione in senso moderno con una strategia di conservazione e di valorizzazione dell’edilizia storica. Ma non occorrerebbe nemmeno fare queste citazioni più o meno erudite: sarebbe sufficiente citare quanto avvenne più di un trentennio fa a Catanzaro con la Piazza Indipendenza di Zagari e il nuovo teatro politeama di Portoghesi: acide polemiche che il tempo ha classificato come espressione di un conservatorismo becero e arrugginito che infatti non trovò mai alcuno spiraglio».

Le proposte finali di Minniti

In epilogo, propone Menniti: «Si rinnovi il “bosco” di Piazza Salvemini abbattendo alberi malati e sostituendoli con nuove specie arboree, rendendo tuttavia concreto un piano sistematico di manutenzione, e soprattutto si porti a conclusione il più rapidamente possibile il cantiere in questione; si proceda altrettanto velocemente con via Gagliardi per riconsegnarla alla fruizione dei cittadini e alla migliore gestione delle attività commerciali. E si smetta di usare l’ambientalismo o l’improvvisata tutela di presunti beni culturali come una clava da paleolitico. E se Caruso Frezza e altri, vorranno eventualmente confrontarsi pubblicamente con me, sarò ben lieto di affrontare questi e altri temi con lui e altri, riconoscendo a costoro, fin d’ora, un sincero e disinteressato affetto per la città qualora siano disposti a riconoscerlo anche a me con eguale tenore ma ben altre idee».

Tags: Alessandro Caruso FrezzaPini Piazza Salvemini
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