Un lavoro, quello femminile, per molti versi ancora ghettizzato, fortemente sessualizzato, nonostante i trend positivi in crescita e le sempre più frequenti e felici eccezioni. Alle donne viene proposto, in molti contesti, di lavorare da gregarie, anche quando legalmente sono socie di una azienda. E succede, non facciamocene una meraviglia, che due fratelli a capo di una azienda abbiano uffici diversificati, peso diverso nei contenuti e nella forma.
Nella gran parte dei casi, a prendere decisioni è ancora l’uomo, la donna socia, comproprietaria, si riduce a lavorare per assistere, per portare avanti linee e scelte degli altri. La Calabria è un regione dove qualsiasi tipo di disparità si acuisce, perché a mancare sono le opportunità.
I tessuti sociali si rigenerano con lentezza e naturalmente, le disparità sul lavoro indipendente risultano molto più evidenti. E non illudiamoci che gli incentivi alle aziende, per potenziare il guizzo impresario femminile siano sempre positivi: spesso vengono strumentalizzate ad una latitudine familiare e la titolare finisce per diventare la prestanome, necessaria a ottenere il finanziamento.
Le donne e l’impresa
Quante storie così conosciamo? Ne siamo praticamente assuefatti. Perché ad una donna che abbia voglia di lavorare in Italia, figuriamoci nelle aree più provinciali e periferiche come le nostre, le si propone principalmente l’insegnamento o comunque un lavoro dipendente, meglio se pubblico. Sono giovanissime, invece, come ci ha raccontato anche la presidente del comitato per l’imprenditorialità femminile della Camera di Commercio di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, Antonella Mancuso, le donne che decidono di costruire un lavoro facendo impresa, aprendo startup.
E quasi sempre emergono con idee vincenti, perché sono motivate e sanno innovare. I dati calabresi, complessivamente, sono in leggera crescita, ma ci dicono che la strada è lunga e tutta in salita. E qui il discorso è culturale e antropologico, prima ancora che sussidiario e politico. Andrebbe letta Susan Sontag e quello che scriveva alla metà degli anni settanta sul lavoro e la libera impresa delle donne. Alle bambine bisogna insegnare a portare avanti i progetti con tenacia.
Di impresa femminile in Calabria abbiamo parlato con Antonella Mancuso e con due imprenditrici, a capo di aziende, Caterina Fanello e Caterina De Lorenzo.
Il delta è positivo, ma esistono zone di disagio
Una approfondita chiacchierata con la presidente del comitato per l’imprenditorialità femminile della Camera di Commercio di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, Antonella Mancuso, per tracciare un solco, definire un perimetro. «L’imprenditoria femminile – è Antonella Mancuso che parla – si inizia a muovere. Il numero delle aziende sta crescendo leggermente: il delta è positivo dello 0,3%, dato che fa sperare bene, ma ci ricorda che dobbiamo lavorare tanto».
Su 100 aziende in Calabria 12 sono gestite da una donna: «Hanno aiutato i bandi dei governi e della regione a supporto dell’impresa femminile, il Fondo sull’imprenditoria femminile, Resto al Sud, Impresa Donna, adesso ci sono nuovi bandi per reinserire nel tessuto economico le donne vittime di violenza».
Imprenditoria femminile e progresso
Le donne a capo delle aziende riescono ad esprimere un grande progressismo: «Creano startup dal niente e le portano avanti in modo creativo, oppure riprendono aziende familiari e le innovano, questo accade soprattutto nell’agroalimentare. Le donne che comandano riescono a coniugare tradizione e futuro, grazie alla sensibilità spiccata, che le aiuta nella programmazione, nell’organizzazione dei tempi».
La questione culturale è a monte, spesso le donne hanno una idea e la boicottano: «Abbiamo fatto diversi incontri come Camera di Commercio, proprio per formare. La maggior parte delle persone pensa che per avviare una azienda serva un grosso capitale, in realtà non è così: serve una buona idea. I capitali si rintracciano tramite il micro credito, il credito, lanciarsi è molto più semplice di quanto si pensi. Purtroppo, le donne essendo state fuori dal mercato dell’imprenditoria per molto tempo, credono che sia una avventura difficile, che può appartenere soltanto alle capacità dell’uomo. Stiamo scardinando queste convenzioni. Le donne si stanno addentrando anche nei settori scientifici e tecnici. Certamente, andrebbe rivoluzionata soprattutto la scuola».
Tra le province calabresi vi è eterogeneità, a Vibo Valentia, per esempio, le aziende con titolare una donna, iscritte alla Confindustria sono solo nove. «La provincia di Vibo è quella che ha i dati più bassi in materia di imprenditoria femminile, Crotone regge sull’agroalimentare e Catanzaro sul commercio».
Il punto di vista delle imprenditrici
Abbiamo raccolto le testimonianze di due imprenditrici di successo, ambedue vibonesi, storie diverse, ma in grado di comunicare resilienza, tenacia, visione, lungimiranza. Nelle loro vite professionali si riscontra una grande libertà di posizionamento, una esortazione a quante hanno una idea, che vacilla per mille motivi. Caterina Fanello ha creato una azienda di marketing, con sede legale a Monterosso, possiede nella narrazione un andamento visionario e ottimista.
«La mia azienda si occupa di marketing e ricerche di mercato con approccio neuro scientifico, per fare neuro marketing bisogna avere degli strumenti precisi: caschetti, occhiali particolari, che misurano le reazioni celebrali. È la prima agenzia di neuro marketing nel sud Italia. Ho iniziato nel 2019 partecipando anche ad un bando regionale. Dopo tre anni ho rimodernato l’azienda. Lavoravo, anche prima di fondare l’agenzia, nel marketing sia in Italia e sia all’estero. Ho sempre desiderato operare da indipendente, per portare avanti la mia filosofia». Caterina Fanello è una imprenditrice determinata, sulla questione di genere ci racconta: «Spesso alle donne si dice che se sono veramente brave ce la possono fare. Quel “veramente brave” si comprende poco, verrebbe da rispondere “grazie”: se sei maschio puoi emergere sia che tu sia bravo o meno bravo; al contrario, se sei femmina devi essere brava “veramente”. Ai piani altri ti interfacci sempre con uomini. In Calabria esistono aziende piccole, senza un responsabile marketing e la figura di riferimento è quasi sempre il titolare. Le donne sono ancora culturalmente relegate alla cura, anche quando lavorano. Io personalmente ho guardato sempre avanti, trascorso molto tempo fuori, studiato, fatto esperienze. Gli schemi di genere non mi hanno mai toccata, ma la questione culturale c’è tutta».
La voce di un’altra imprenditrice, Caterina De Lorenzo
Caterina De Lorenzo è imprenditrice da venti anni nel settore dei carburanti, tradizionalmente maschile. Ha preso in mano l’azienda del padre innovandola e oggi è una imprenditrice in settori diversi. Si racconta professionalmente con decisione: è una professionista tenace.
«Io mi sono laureata a ventidue anni e pochi mesi a Perugia e sono rientrata in Calabria per fare l’imprenditrice, prendendo in mano il settore carburanti dell’azienda di mio padre, all’inizio con il suo aiuto. Successivamente, è venuto a mancare e da una quindicina di anni gestisco tutto da sola. Il mio mondo è molto maschile, ho avuto sempre a che fare con gli uomini. Non ho mai percepito grandi disagi, ad essere sincera. All’inizio avvertivo un certo scetticismo per l’essere molto giovane. Noto, però, che le giovanissime imprenditrici si fanno strada con creatività e senza rinunciare alla femminilità, questo è molto positivo. Sono vulcani che eruttano di idee ed è bellissimo ascoltarle, osservarle. Io sono felice nel momento in cui vedo donne che rivoluzionano aziende con cinquanta anni di storia oppure che dal niente avviano startup. Quando io ho iniziato, due decenni fa, il mondo era vecchio». Caterina De Lorenzo è una donna felice e soddisfatta: «Ho iniziato dai carburanti, ho proseguito con il commercio dei prodotti petroliferi, avendo a che fare con una miriade di aziende, anche agricole e lì vedo una fioritura di idee e iniziative femminili e infine, negli ultimi anni mi sono affacciata al turismo, anche per allargare le mie vedute. E sì… del mio lavoro sono contenta».
Storie positive, che dovrebbero rappresentare uno stimolo in un mondo generalmente complicato come quello dell’imprenditoria femminile, caratterizzato da dinamiche socialmente ataviche, estremamente difficili da estirpare.