Il vicepresidente della Regione Calabria, Filippo Pietropaolo, è stato assolto con formula piena dall’accusa di ricettazione perché “il fatto non costituisce reato”. Questa è la sentenza pronunciata questa mattina dal presidente del collegio penale del Tribunale di Crotone, Edoardo D’Ambrosio, a conclusione del processo scaturito dall’operazione “Tempio di Hera”.
L’operazione dei carabinieri: un’indagine complessa
L’indagine, avviata nel gennaio del 2017 dai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Cosenza e coordinata dalla Procura della Repubblica di Crotone, ha portato alla luce un’organizzazione criminale dedita allo scavo e alla vendita illecita di reperti archeologici. L’inchiesta coinvolse 52 persone e portò a numerosi rinvii a giudizio.
Il coinvolgimento del vicepresidente della Regione Calabria
All’epoca dei fatti, Pietropaolo era consigliere della Seta srl e fu rinviato a giudizio per aver ricevuto in regalo una “moneta dei Bretti”. Tuttavia, la sentenza ha stabilito che l’accettazione della moneta non costituiva reato, scagionando così completamente il politico calabrese.

Condanne e assoluzioni nell’ambito dell’operazione “Tempio di Hera“
La sentenza ha inflitto condanne ai cosiddetti “tombaroli”, ovvero coloro che si erano resi responsabili dello scavo e della vendita illecita di reperti archeologici. In particolare:
- Vincenzo Godano è stato condannato a cinque anni di reclusione;
- Francesco Salvatore Filoramo, Luca Filoramo, Vittoria Villirillo e Carmine Francesco Verterame hanno ricevuto una condanna a tre anni;
- Francesco Arena è stato condannato a due anni di reclusione.
Sono stati invece assolti per non aver commesso il fatto: Pasquale Antonio Fabiano, Salvatore Rocca, Carmelo Marino e Pasquale De Tursi. Sono stati invece assolti perché “il fatto non sussiste” Yvonne Maria Gallo, Luigi Lacroce, Leonardo Lecce, Michele Bisceglie, Mario Raso e Annibale Chiaravaloti.
Otto anni di processo e sviluppi conclusivi
Il lungo iter giudiziario si è protratto per ben otto anni, durante i quali alcuni dei principali indagati sono purtroppo deceduti, rendendoli non più perseguibili. La complessità del processo e l’elevato numero di imputati hanno richiesto un’indagine minuziosa e un’attenta valutazione delle prove raccolte.