Quanto emerso dall’inchiesta “Call Me”, condotta dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia sotto il coordinamento della DDA di Catanzaro, che ha portato all’arresto di dieci persone ritenute affiliate alla cosca La Rosa di Tropea-Ricadi, ha dell’incredibile. Oltre 30.000 conversazioni telefoniche monitorate e più di 2.000 chiamate a settimana effettuate da alcuni soggetti legati alla criminalità organizzata.
Criminalità organizzata e comunicazioni dal carcere
Il colonnello Salvatore Tramis, comandante del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catanzaro, ha rivelato nel corso della conferenza stampa che i soggetti coinvolti utilizzavano un linguaggio in codice per comunicare ordini e richieste estorsive, con termini come “polpette” e “arancine” per mascherare le vere attività illecite. Un sistema ben strutturato che continuava a operare anche dall’interno delle carceri.
Il procuratore Salvatore Maria Curcio ha lanciato un allarme preoccupante: «Nel 2022 sono stati sequestrati 1.084 telefonini nelle carceri italiane, nel 2023 il numero è salito a 1.595, e nel 2024 si registrano già 2.552 sequestri». Dati che evidenziano una presenza endemica di dispositivi elettronici tra le mura carcerarie, utilizzati per mantenere contatti criminali con l’esterno.
L’inchiesta e l’influenza criminale a Tropea
La cosca La Rosa di Tropea-Ricadi, esistente già nel 1990 secondo una sentenza definitiva, continuerebbe a rappresentare una minaccia concreta alla sicurezza pubblica, come riferito dagli inquirenti. Dall’inchiesta emerge come anche i membri detenuti riuscissero a impartire ordini, mantenendo un ruolo operativo all’interno dell’organizzazione.
Il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, Eugenio Bua, ha sottolineato inoltre il ruolo attivo delle donne di ‘ndrangheta, che mantenevano i contatti e i rapporti sul territorio, consolidando il controllo della cosca.
Estorsioni e linguaggi in codice: la strategia della ‘ndrangheta
Le intercettazioni hanno evidenziato richieste estorsive camuffate durante il periodo della pandemia, tra cui una falsa assunzione di una donna appartenente alla ‘ndrina, come modalità per esercitare pressioni economiche. Il linguaggio criptato e l’utilizzo di cellulari miniaturizzati e nascosti ha permesso alla cosca di eludere i controlli e continuare le attività illecite nonostante la detenzione di molti membri.
Le soluzioni tecnologiche: jammer, schermature e sistemi di rilevamento
Il procuratore Curcio ha sottolineato l’urgenza di adottare misure tecnologiche efficaci per contrastare la comunicazione criminale dal carcere. Tra le proposte vi è l’utilizzo dei jammer per disturbare il segnale, già in uso in Francia, Germania e Regno Unito. Così come l’impiego di sistemi di rilevamento cellulari attivi negli Stati Uniti. Ma vi è anche la soluzione della schermatura delle strutture penitenziarie, ancora non attuate.
L’inchiesta “Call Me” rappresenta un duro colpo alla criminalità organizzata calabrese, nello specifico quella di Tropea. Al contempo, però, solleva interrogativi urgenti sull’efficacia del sistema penitenziario nel contrastare le comunicazioni illecite. Le oltre 30.000 conversazioni intercettate e le 2.000 telefonate a settimana sono la prova concreta che la ‘ndrangheta continua a operare anche dall’interno delle carceri, sfruttando falle tecnologiche e organizzative.