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Quella fallimentare riforma (Legge Delrio) delle Province

di Domenico Libero Scuglia
12 Maggio 2025
in Visti Dal Comune
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Undici anni fa la Camera dei Deputati, dopo il voto di fiducia espresso dal Senato sul testo il 24 marzo 2014, ha approvato definitivamente la Legge Delrio sulla disciplina delle Province e Città Metropolitane, entrata in vigore l’8 aprile 2014.

Si è trattato di una velleitaria riforma che, per espressa dichiarazione contenuta nel testo, doveva avere carattere transitorio “in attesa della riforma costituzionale”; inedita forzatura istituzionale e giuridica resa ancora più evidente e deleteria dal fallimento della modifica della Costituzione, bocciata dal referendum, e con conseguenze gravi sull’assetto ordinamentale del sistema delle autonomie locali.

Erano tanti all’epoca i sostenitori di una riforma ispirata non da una coordinata e sistematica revisione dell’assetto istituzionale fondato su competenze, risorse e funzioni, ma soltanto dalla ricerca dell’immediato consenso sui tagli ai costi della politica. Concentrarsi su un livello di governo ritenuto più “debole” rappresentato dalle Province, aiutava a tacitare le spinte di opinionisti e vari gruppi rappresentativi (spesso poi pentiti della scelta). Confondendo i tagli alla politica con i tagli alla democrazia; i tagli alle poltrone con i tagli insostenibili ai servizi ed agli investimenti sul territorio.

Sono state istituite le Città Metropolitane, create dalla Legge 56/2014, ma sostanzialmente identiche alle Province cui sono subentrate, trascurando anni di approfondimenti su delimitazioni territoriali, senso e ruolo istituzionale dei nuovi Enti. Si è discusso a lungo sui caratteri apertamente incostituzionali della Legge; va semplicemente rimarcata la posizione “politica”, mi sia consentito, assunta in questa circostanza dalla Corte costituzionale che ha “salvato” la legge Delrio fondando il giudizio di legittimità sul carattere “provvisorio” (in attesa della riforma costituzionale, poi naufragata) della legge, svolgendo quindi il proprio sindacato non in base alla Costituzione vigente, ma in base a quella “futura”, che mai ha visto la luce.

Doveva svolgere effetti limitati nel tempo, ma la soluzione provvisoria è rimasta ancor oggi definitiva con la precarietà delle funzioni e con la pesantissima riduzione della finanza provinciale che ancora ne rende arduo lo svolgimento, malgrado i correttivi e le parziali compensazioni che dal 2018 il Governo ha introdotto.

Contrariamente al pensiero prevalente, la Legge Delrio nel 2014 non ha ridotto le funzioni fondamentali assegnate alle Province, ma soltanto quelle di competenza regionale; ha però tagliato le risorse destinate al loro esercizio, con un prelievo forzoso dai bilanci delle Province e delle Città Metropolitane, alimentati in gran parte dai tributi versati dai cittadini sul proprio territorio (l’imposta provinciale di trascrizione, l’imposta sulle assicurazioni RC auto, e il tributo ambientale), che permane tuttora, seppure parzialmente compensato da contributi annuali, con un saldo negativo annuo per le sole Province del Veneto di circa 123 milioni e di oltre 900 milioni a livello nazionale.

Con la riforma le Province non chiedono nuove risorse, ma evidenziano da anni l’esigenza di eliminare il prelievo forzoso, lasciando sul territorio le risorse derivanti dai tributi locali. Le risorse, che oggi le Province versano al bilancio dello Stato senza conoscerne la destinazione, tornerebbero agli Enti Locali per essere impiegati per le finalità per cui sono stati istituiti: strade, scuole e ambiente. Si tratterebbe di una virtuosa riallocazione della spesa, non una maggiore spesa.

La riforma, oltre a rafforzare il ruolo importante di supporto ai Comuni, deve concentrarsi sulle funzioni; l’art. 118 della Costituzione impone di immaginare nella Provincia la necessaria destinataria delle funzioni amministrative locali che i Comuni non siano in grado di esercitare adeguatamente o che, per loro natura, necessitano di un ambito territoriale più ampio per la gestione ottimale: si pensi alla viabilità provinciale di interconnessione dei territori, all’edilizia scolastica superiore, alle politiche ambientali, al trasporto pubblico locale, al coordinamento delle iniziative territoriali in ambito sportivo, culturale, socio-economico, del volontariato.

Questo anche in coerenza con il ruolo delle Regioni, che, dovendo procedere all’attuazione della Legge Delrio, hanno accentrato numerose funzioni gestionali, trascurando così la propria missione programmatoria e di enti di legislazione. Nella logica del ripristino della rappresentanza democratica con l’elezione diretta del Presidente e del consiglio provinciale, come richiede la Carta europea delle autonomie, può anche essere valorizzata l’Assemblea dei sindaci, come organo di sintesi e di confronto delle politiche territoriali di area vasta.

Il Presidente della Repubblica, nell’assemblea UPI a L’Aquila, ha affermato in modo chiarissimo: “Le norme attualmente in vigore, che disegnano strutture e ambiti delle Province, sono legate, in definitiva, a una transizione interrotta. E anche per questo, creano vuoti e incertezze che non possono prolungarsi, rischiando che cittadini e comunità paghino il prezzo di servizi inadeguati, di competenze incerte, di lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento. La Costituzione richiede di essere attuata”.

L’appello è rimasto finora inascoltato. I progetti di legge di riforma, presentati da tutte le forze politiche e sintetizzate in un unico testo, sono bloccati dal 2023 in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Il disegno di legge di riforma del TUEL, dopo un primo esame preliminare in Consiglio dei Ministri l’8 agosto 2023 che ha “rinviato ad altra riunione il seguito dell’esame”, non è stato più sottoposto al Consiglio dei Ministri per la formale adozione.

Anziché procedere con il disegno organico di riforma, si susseguono proposte di emendamento non coordinati, come da ultimo quello presentato in Commissione parlamentare al disegno di legge di Conversione in legge del decreto-legge 19 marzo 2025, n. 27, recante disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025 con cui si vorrebbe prevedere, in analogia a quanto previsto per i Comuni nel Tuel, la possibilità di approvare nei Consigli provinciali una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente di Provincia che, se approvata, porta alla decadenza del presidente, allo scioglimento del consiglio provinciale e all’immediata indizione di nuove elezioni nonché a prevedere casi di scioglimento del consiglio provinciale che portano a nuove elezioni contestuali degli organi di governo delle Province (Consiglio e Presidente) ivi compreso i casi delle dimissioni del presidente e della mancata approvazione del bilancio.

Proposte che evidentemente si pongono in contrasto con le proposte di legge presentate da tutte le forze politiche e in particolare da quelle di maggioranza che prevedono il ripristino dell’elezione diretta degli organi di governo delle province e la sostanziale cancellazione della legge Delrio, consolidando per le Province la disciplina di elezione di secondo grado della legge 56/14.

E soprattutto non tenendo conto della diversa disciplina di elezione degli organi tra i Comuni e le Province. Nei Comuni c’è un’elezione contestuale dei sindaci e dei consigli comunali ed è espressamente previsto un rapporto di fiducia tra i due organi. Nelle Province c’è invece un’elezione e una legittimazione separata dei presidenti di provincia e dei consigli provinciali, la durata degli organi è diversa e non esiste, proprio per questo, un rapporto fiduciario.

Si parta dunque finalmente dalle funzioni, si ripristini la rappresentanza democratica dei territori, si evitino sovrapposizioni e si dia finalmente piena attuazione ai principi dell’art. 5 e del titolo V della Costituzione.

Tags: Riforma ProvinceVisti dal Comune
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