«Il consiglio provinciale di Vibo Valentia è diventato il palcoscenico di una faida politica che calpesta la dignità di chi da anni lavora per l’ente. Forza Italia e il gruppo di Pitaro hanno deciso di abbandonare l’aula durante la seduta per il bilancio 2025–2027, facendo mancare il numero legale e bloccando l’approvazione».
A scrivere è il gruppo consiliare al Comune di Vibo Valentia Democratici e riformisti.
«Il risultato? 35 madri e padri di famiglia rischiano di restare senza lavoro, senza prospettive e senza risposte. Ma non solo: viene anche ulteriormente ritardato l’avvio di importanti opere pubbliche programmate dal presidente Corrado L’Andolina in risposta alle esigenze dei territori provinciali».
La questione dei tirocinanti
«Dietro i numeri – riprendono i consiglieri – ci sono volti, sacrifici e storie vere: i tirocinanti di inclusione sociale (Tis), spesso trattati come “fantasmi” (pagati meno di 700 euro al mese, senza malattie né ferie). L’unica speranza per loro è la stabilizzazione, finanziata dalla Regione, ma subordinata all’approvazione di un bilancio bloccato da un braccio di ferro tanto politicamente sterile quanto, evidentemente, produttivo esclusivamente di effetti dannosi».

La politica così intesa, per Democratici e riformisti, «non è più servizio per i cittadini, ma un’arena dove le contrapposizioni contano più delle persone. Dietro le porte chiuse del Consiglio, 35 lavoratori vivono ore di angoscia: dignità sospese e l’ansia di un futuro incerto per le loro famiglie».
I dirigenti di Forza Italia e il gruppo Pitaro alla Provincia di Vibo, conclude la nota, «devono spiegare ai cittadini perché oggi scelgono di lasciare senza futuro 35 famiglie, per rincorrere poltrone che durerebbero pochi mesi. E, senza ricorrere a comunicati di circostanza, spiegassero se questo è il genere di politica che intendono attuare e proseguire a danno di cittadini che oggi rischiano di pagare il prezzo più alto. Il silenzio, in questa vicenda, sarebbe solo l’ennesima conferma che, quando la politica si chiude nei palazzi, il prezzo lo paga sempre la gente comune».
































