Di grande interesse l’intervento del professore Sabino Cassese sul Corriere di qualche tempo fa che, anche provocatoriamente, parte dal luogo comune secondo cui gli «uffici pubblici servono più a dare posti, per alleviare la cronica disoccupazione, che assicurare servizi pubblici» per giungere alla conclusione che bisogna «assumere di meno e pagare di più». Una diminuzione resa sostenibile in virtù della denatalità e della digitalizzazione. Affronta quindi e descrive i mali endemici della pubblica amministrazione: «Ci si lamenta della burocrazia, ma si aumenta la burocrazia».

Molte considerazioni sono condivisibili, ma, quando si affrontano questi temi, si corre sempre il rischio della generalizzazione e di enfatizzare il sentire comune. È in parte vero che il concetto di burocrazia, finalizzato a garantire imparzialità e continuità attraverso i procedimenti amministrativi e, quindi, essenziale per il buon andamento dell’amministrazione, in alcuni casi si è trasformata in ostacolo o motivo per non decidere e così evitare responsabilità. Ma si tratta di una deviazione non della norma. In alcuni casi la prassi amministrativa lavora principalmente su sé stessa, secondo una logica autoreferenziale preoccupandosi esclusivamente della regolarità formale degli atti, senza interrogarsi sulle ricadute sociali delle scelte.
Prevalgono talvolta la logica secondo cui vale ed ha «potere» chi rispetta le procedure, non chi risolve i problemi o la personalizzazione del ruolo oltre i limiti della positiva e legittima ambizione. Tutto diventa dovuto; raggiunto l’obiettivo personale diventa secondario il fine principale o, peggio, si esercita il «potere» come mera affermazione egoistica. La collaborazione tra «pari» è sempre più rara. La forma è però salva e le responsabilità sono solo di altri. È tempo di guardare oltre l’adempimento e di riscoprire il senso profondo del servizio pubblico: essere al servizio delle persone, non delle procedure. Significa recuperare l’orgoglio di un lavoro che, quando fatto bene, migliora concretamente la vita della comunità.
L’obiettivo dovrebbe sempre essere il benessere della comunità; le verifiche formali e le procedure interne devono essere strumenti per raggiungere l’obiettivo non fini in sé o, peggio, ambiti di esercizio e di conservazione di un piccolo e sterile «potere» che immagina o pretende di condizionare le scelte. La collaborazione tra amministrazioni, il supporto agli enti più piccoli e in maggiore difficoltà, il sostegno alle iniziative di valore, che migliorano la vita delle persone e consentono al sistema di garantire meglio i servizi devono essere prevalenti rispetto a sterili valutazioni che servono solo a mettere a riparo da presunti e insussistenti responsabilità. Chi propone soluzioni andrebbe premiato superando la logica della routine «si è fatto sempre così», accettando il rischio calcolato che deriva dall’innovazione.
Nell’analisi del professor Cassese, tuttavia, viene tralasciato ogni riferimento alla struttura complessa e articolata della pubblica amministrazione in Italia. Così si trascura di considerare che negli enti locali, nell’ultimo decennio, si è registrata una vera e propria emorragia di personale; nel settore sanitario mancano medici di base, specialisti in pronto soccorso, infermieri.
La Corte dei Conti ha pubblicato pochi giorni fa la relazione sul lavoro pubblico 2025 evidenziando come «i Comuni presentano importanti carenze di personale: la riduzione del personale a tempo indeterminato nel 2023, rispetto 2011, è stata del 20,6 per cento, passando dalle 381mila del 2011 alle circa 303mila unità attuali.
Anche nel 2023 il personale dei Comuni continua a scendere: il calo è stato dello 0,3 per cento. Il tasso di turn over ha risentito delle forti limitazioni alle assunzioni imposte agli enti negli ultimi anni. Le limitazioni hanno inciso anche sull’età dei dipendenti: il 61 per cento dei dipendenti comunali ha un’età che va dai 50 ai 64 anni e il 24 per cento di essi si colloca nella fascia più numerosa che va dai 55 ai 59 anni».
I piccoli Comuni, soprattutto nelle aree interne, faticano a garantire i servizi essenziali per carenza di risorse umane qualificate. I vincoli di bilancio hanno creato vuoti che spesso non vengono colmati. Un Comune montano con pochi dipendenti non può essere equiparato a un Ministero.
La modernizzazione della pubblica amministrazione richiede quindi strategie differenziate che tengano conto delle specificità territoriali e settoriali. Serve una svolta per rendere attrattiva la pubblica amministrazione, soprattutto quella locale, per i giovani, per i migliori talenti. Ciò è possibile certamente con i contratti, con i riconoscimenti economici, ma anche se l’Amministrazione riesce ad affermarsi innovativa nelle soluzioni, efficace nei risultati.
Quando il lavoro ha un significato chiaro, quando si vede l’impatto concreto delle proprie azioni, la motivazione cresce spontaneamente. E con essa, la qualità del servizio offerto.