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A Tropea risplende la vara della Madonna di Romania. Il restauratore Adduci: «Lavoro intenso»

L'intervento conservativo commissionato dalla Diocesi. La vara processionale che si trova all'interno della Cattedrale della cittadina tirrenica

di Pasquale Scordamaglia
24 Settembre 2025
in Ritratti
A Tropea risplende la vara della Madonna di Romania. Il restauratore Adduci: «Lavoro intenso»

Il restauratore Antonio Adduci a lavoro

“La bellezza ritrova la sua luce”. Una frase, questa, che evoca rinascita e armonia e che è stata associata ad un accurato e recente restauro conservativo. Stiamo parlando della vara processionale che si trova nella Cattedrale di Tropea e che fa da cornice all’antica effigie della Madonna di Romania. L’intervento di restauro, caratterizzato da una grande attenzione dei dettagli, è stato realizzato dall’esperto restauratore Antonio Adduci.

Lo stesso Adduci ha curato anche il restauro di due opere che sono presenti nel Museo Diocesano di Tropea: il simulacro in argento della Martire Santa Domenica del 1738 (opera del maestro Francesco Avellino) e il riccio di bacolo pastorale, risalente al XV secolo. Il restauro, relativo all’antica vara, è stato disposto e commissionato dalla Diocesi di Mileto- Nicotera-Tropea, presieduta dal vescovo Attilio Nostro.

Un progetto sostenuto e condiviso

L’iter per l’avvio dei lavori ha registrato anche la collaborazione dell’Ufficio dei beni culturali della Diocesi, diretto da don Nicola Scordamaglia, nonché il supporto del parroco della Cattedrale, don Antonio Mazzeo, e di don Ignazio Toraldo di Francia, in qualità di direttore del Museo Diocesano di Tropea. Per ripercorrere lo straordinario lavoro, Adduci ci ha permesso di conoscere più da vicino il valore storico della vara, esprimendo anche le emozioni provate.

Quanto sono durati i lavori di restauro della vara e quali sono state le fasi di lavoro seguite?

«I lavori sono durati complessivamente più settimane e si sono articolati in diverse fasi. Dalla documentazione fotografica e diagnostica preliminare, allo smontaggio e alla catalogazione di ogni elemento, alla pulitura selettiva delle superfici argentee. La pulitura è stata eseguita con metodi non invasivi, capaci di rimuovere le ossidazioni senza compromettere anche la patina storica. E poi dal consolidamento delle parti fragili e micro-saldature mediante laser, fino alla protezione finale delle superfici per rallentare i futuri processi di degrado. L’intervento si inserisce in una collaborazione ormai consolidata con l’Ufficio beni culturali della Diocesi, per il quale ho già realizzato due restauri di rilievo: la statua di Santa Domenica e il riccio di bacolo pastorale. Questi interventi hanno rappresentato tappe fondamentali di un percorso condiviso, nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio sacro tropeano».

A che periodo risale la vara e in origine che materiali sono stati impiegati per la realizzazione?

«La vara della Madonna di Romania è datata 1893 ed è opera del maestro argentiere napoletano Vincenzo Catello, fondatore di una bottega di altissimo prestigio. Fu operativo a Napoli a partire dal 1858. È stata realizzata in argento sbalzato e cesellato, parzialmente dorato e con elementi ottenuti mediante fusione a cera persa. È arricchita da vetri colorati a taglio brillante e ovale. Assemblata su una solida struttura lignea portante, riflette pienamente le caratteristiche più eleganti della produzione orafa partenopea dell’epoca. Lo stile artistico di Catello si distingue per la fusione perfetta tra rigore tecnico e raffinata esecuzione. Nei suoi manufatti, l’argento diventa superficie viva, lavorata con dettagli finissimi e con una resa plastica di grande espressività. La vara di Tropea ne è degna espressione. Infatti, la precisione del cesello, l’armonia delle forme ornamentali e l’equilibrio monumentale, denotano un altissimo livello artistico e devozionale».

Dal tuo punto di vista, che importanza assume questa opera per la comunità di Tropea, anche in relazione all’arte dell’argentiere Vincenzo Catello?

«Il talento di Catello è testimoniato anche da altre importanti opere, conservate nella Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli. Ad esempio il busto in argento di San Gioacchino con la Vergine (1896) e la statua in argento di Santa Lucia (1902). Entrambe sono caratterizzate dalla stessa perizia esecutiva, dalla ricchezza decorativa e dall’eleganza formale che contraddistinguono la sua produzione. Affidare ad un argentiere di tale calibro la realizzazione della vara, per la comunità tropeana significava offrire alla propria patrona un manufatto prezioso e di altissimo valore simbolico. Ma anche inserirsi in quella grande tradizione orafa napoletana che, tra Otto e Novecento, era riconosciuta a livello internazionale».

Come si è svolto l’iter di affidamento per la realizzazione dei lavori?

«L’intervento è stato affidato dalla Diocesi alla ditta Adduci Restauri, con comprovata esperienza nel settore dei metalli preziosi, di cui sono titolare. Ed è stato eseguito sotto la sorveglianza della Soprintendenza di Reggio e Vibo, ma anche in presenza dei due storici dell’arte Daniela Vinci e Francesco Lia. All’interno della Diocesi, l’Ufficio beni culturali ha seguito da vicino l’iter di concessione dei contributi della Cei, avvalendosi della competenza tecnica dell’architetto Enrico Pata. Un contributo prezioso è giunto anche dal Museo Diocesano e dalla Cattedrale, con il parroco don Antonio Mazzeo la cui costante attenzione nel segnalare le criticità conservative delle opere, ha contribuito a porre in rilievo la necessità di intervenire proprio su questa vara. Questa stretta sinergia tra istituzioni ecclesiastiche e organi di tutela statale, ha garantito un restauro condotto con tanto rigore metodologico, scientificità e pieno rispetto del valore storico e devozionale dell’opera».

Che emozioni hai provato nel realizzare questo intervento di restauro?

«È stato un lavoro intenso non solo dal punto di vista tecnico: restaurare la vara della Madonna di Romania significava prendersi cura non soltanto di un’opera d’arte, ma di un simbolo identitario profondissimo per tutta la comunità tropeana. Ho provato un forte senso di responsabilità, perché ogni gesto era rivolto a restituire leggibilità e stabilità a un oggetto che da secoli accompagna la devozione di tutti i fedeli. Il momento più emozionante è stato quando, dopo la pulitura, sono riemersi i dettagli finissimi del cesello e si sono ricomposti i giusti valori chiaroscurali, che oggi ne permettono una corretta lettura: è stato come ridare voce al suo esecutore e preparare l’opera, garantendo una continuità alla sua funzione di testimonianza di fede e di identità collettiva».

Tags: DiocesiRestauroTropea
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