La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata (sentenza 10/2025 depositata il 7 febbraio 2025). Vediamo perché. «Con la sentenza 192/2024: vi è stato: a) il trasversale ridimensionamento dell’oggetto di qualsiasi possibile trasferimento (solo specifiche funzioni e non già materie); b) la paralisi – fino ad un futuro intervento del legislatore – dell’individuazione dei Lep di cui alla suddetta legge n. 86 del 2024; c) la conseguente impossibilità di trasferire specifiche funzioni relative a “materie Lep”, nonché – per la stessa ragione – relative a materie “no-Lep, là dove esse incidono su diritti civili e sociali; d) l’individuazione di un catalogo di materie nelle quali il trasferimento di funzioni è difficile da giustificare, tra cui due materie “no-Lep” («commercio con l’estero» e «professioni»).

Rimane unicamente la possibilità di trasferire specifiche funzioni concernenti alcune materie “no-Lep”, a condizione che esse non incidano su un diritto civile o sociale e che l’iniziativa regionale sia «giustificata alla luce del principio di sussidiarietà».
In definitiva, la sentenza numero 192 del 2024 ha eliminato gran parte del disposto normativo di cui alla legge numero 86 del 2024, incisa nella sua architettura essenziale, lasciando in vita un contenuto minimo. Tale contenuto è di difficile individuazione e ciò si riflette sulla comprensibilità del quesito da parte del corpo elettorale, oltreché sul fine ultimo, o ratio, della stessa richiesta referendaria.
Di conseguenza, risulta obiettivamente oscuro per l’elettore l’oggetto del quesito, che originariamente riguardava la legge numero 86 del 2024 nel suo testo iniziale e ora riguarda quel che resta della legge a seguito delle numerose e complesse modifiche apportate dalla citata sentenza di questa Corte. Un oggetto sostanzialmente non decifrabile.
L’elettore si verrebbe a trovare in una condizione di disorientamento, rispetto sia ai contenuti, sia agli effetti di quel che resta della legge n. 86 del 2024. Con la conseguenza che tale disorientamento impedirebbe l’espressione di un voto libero e consapevole, che la chiarezza e la semplicità del quesito mirano ad assicurare.
Dall’oscurità dell’oggetto del quesito deriva un’insuperabile incertezza sulla stessa finalità obiettiva del referendum. Con il rischio che esso si risolva in altro: nel far esercitare un’opzione popolare non già su una legge ordinaria modificata da una sentenza di questa Corte, ma a favore o contro il regionalismo differenziato. La consultazione referendaria verrebbe ad avere una portata che trascende quel che i Costituenti ritennero fondamentale, cioè l’uso corretto – e ragionevole – di questo importante strumento di democrazia. Deve infatti evitarsi che il referendum abrogativo si trasformi «in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie».
Se si ammettesse la richiesta in esame, si avrebbe una radicale polarizzazione identitaria sull’autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, Cost., che «non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo di revisione costituzionale».






























