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Home Sanità

Democrazia e salute. Il caso Vibo Valentia: «Senza sanità, niente fiducia nelle istituzioni»

Cinque associazioni civiche del territorio denunciano: «La nostra provincia è l'emblema delle disuguaglianze sociali»

Di Redazione
4 Novembre 2025
in Sanità
Sanità, Più Europa Vibo chiede un incontro ai commissari dell’Asp: «Che futuro ci attende?»

«Ci sono diritti che definiscono la sostanza di una democrazia più delle sue stesse procedure. Il diritto alla salute è uno di questi. Perché non basta poter votare liberamente, se poi un cittadino, per curarsi, è costretto a migrare o a scegliere tra la propria salute e la propria condizione economica. Una democrazia, per essere reale, deve essere curativa: capace di prendersi carico della fragilità, di proteggerla e di trasformarla in dignità».

È l’incipit di una nota congiunta firmata dalle seguenti realtà del territorio vibonese: Osservatorio Civico Città Attiva, Associazione “Ali di Vibonesità”, Consulta ospedale di Tropea, Comitato ospedale “Serra San Bruno”, Comitato caregivers Don Mottola.

L’articolo 32 come patto di fiducia

«L’articolo 32 della Costituzione – scrivono i firmatari – non è solo una norma, ma un patto morale tra Stato e cittadini: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.” In queste parole si concentra l’essenza della democrazia costituzionale: libertà e uguaglianza non si misurano nella ricchezza o nel potere, ma nella possibilità, per tutti, di essere curati, assistiti e ascoltati. Quando la sanità diventa diseguale, non è solo la salute a essere minacciata: vacilla la legittimità democratica delle istituzioni. La prima ingiustizia che un cittadino percepisce non è quella ideologica, ma quella esistenziale: un pronto soccorso chiuso, un reparto senza medici, un’ambulanza che non arriva, la mancanza di continuità assistenziale».

Il caso Vibo Valentia: la geografia della disuguaglianza

«Il territorio di Vibo Valentia – secondo quanto si legge – è oggi uno dei luoghi in cui questa ferita si manifesta con maggiore evidenza. 2,39 posti letto ogni 1.000 abitanti contro i 3,5 delle altre aree; e il fondo sanitario ha subìto il taglio più consistente (-3,4% rispetto al +5,4% di Crotone). Si aggiunge la più alta mobilità passiva, per oltre 60 milioni di euro. L’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia ha ottenuto un punteggio Lea di 8,8, contro i 17,7 di altre province e ben lontano dal 24,5 che rappresenta la soglia minima di sufficienza. Significa che i servizi essenziali per anziani e disabili (quelli “core”, cioè indispensabili) non sono garantiti. Il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, qui si esercita solo a metà, o forse per nulla».

Sul piano finanziario «la disparità è ancora più evidente: I pazienti over 65 ricevono una quota sociosanitaria di 128 euro pro capite, contro i 470 euro riconosciuti in altre province calabresi; una scelta basata su criteri “storici”, che perpetua ingiustizie passate e le trasforma in regola. Il fondo premiale (Dca 217/2023), che avrebbe dovuto correggere queste disuguaglianze, non è mai stato utilizzato».

Con i Dca 92/2024 e 181/2025, «al territorio di Vibo sono stati sottratti oltre 27 milioni di euro: risorse che avrebbero potuto significare assistenza, riabilitazione, cure domiciliari. Neppure i fondi assegnati “per solidarietà” (come il Dca 112 del 30 maggio 2024, con 4,9 milioni di euro) sono serviti a migliorare i servizi, ma solo a coprire disavanzi pregressi. Anche risorse disponibili, come i 608.000 euro per la continuità assistenziale, sono rimaste inutilizzate, mentre i più fragili continuano a pagare di tasca propria. Ma il dato più grave è politico-istituzionale: da oltre 15 mesi, l’Asp non ha deliberato il piano di attuazione della rete territoriale richiesto dalla Regione».

Non è politica: è Stato che non c’è

«Un silenzio amministrativo che si traduce in vuoto democratico – sentenzia la nota -. La democrazia non vive solo di leggi, ma di atti concreti, di responsabilità, di rendicontazione. Non è la dittatura della maggioranza, ma il rispetto dei deboli e dei fragili. Il potere pubblico, quando smette di rendere conto, non è più servizio ma appropriazione. A Vibo Valentia questa crisi non è teorica: si misura nei numeri, nei fondi non spesi, nelle cure negate, nelle famiglie costrette a supplire con risorse proprie a ciò che dovrebbe essere garantito. Si misura nel silenzio che cala tra il cittadino e l’amministrazione. Una democrazia che non ascolta, non risponde e non corregge i propri errori smette di essere tale. Occorre ripartire dal diritto dei cittadini a essere non solo destinatari, ma interlocutori. Il bene comune non si amministra in solitudine, ma si costruisce insieme. Finché il dialogo resta sospeso, la democrazia resta bloccata, come i diritti che dovrebbe garantire».

Oggi Vibo «ha una voce politica debole, una presenza marginale nei luoghi dove si decidono le risorse. Quando la rappresentanza si indebolisce, la democrazia perde sostanza: non basta essere cittadini sulla carta se un territorio viene trattato come una periferia da sopportare, non da servire. Anche dove lo Stato interviene con strumenti straordinari, la risposta appare insufficiente. La commissione prefettizia, insediata da oltre dodici mesi per risanare il sistema sanitario vibonese, non è ancora riuscita a varare una rete territoriale di servizi, unico strumento che consentirebbe di chiedere risorse aggiuntive alla Regione. Un ritardo non solo burocratico, ma politico e civile: senza quella rete, il territorio resta privo di voce e di rappresentanza. In una democrazia matura, l’amministrazione straordinaria dovrebbe essere sinonimo di efficienza e ricostruzione».

Il paradosso vibonese

A Vibo Valentia, invece, «si rischia il paradosso di una gestione commissariale senza governo, senza prefetto, senza Regione, senza Stato dove il tempo passa ma le disuguaglianze restano. È un errore concettuale definire che la vicenda della sanità vibonese sia questione “politica” e non “istituzionale”. La tutela del diritto alla salute, sancita dall’articolo 32 della Costituzione, è un compito diretto delle istituzioni della Repubblica (Stato, Regione e aziende sanitarie). Quando una commissione prefettizia è chiamata a risanare un sistema sanitario, essa agisce in nome dello Stato: il suo operato, o la sua inerzia, è dunque pienamente materia istituzionale».

La sanità pubblica «non è un’opinione o una scelta di parte, ma un servizio essenziale regolato da leggi, piani e fondi pubblici. Se questi strumenti restano inattuati, non fallisce la politica, ma lo Stato nelle sue articolazioni operative. L’assenza di una rete territoriale dei servizi, l’uso improprio dei fondi e il ritardo amministrativo non sono eventi politici: sono inadempienze istituzionali. In una democrazia matura, le istituzioni non devono solo amministrare, ma garantire diritti. Quando ciò non avviene, si incrina la fiducia pubblica e la legittimità stessa dello Stato. La politica orienta; le istituzioni tutelano. E dove la tutela manca, viene meno la sostanza della democrazia. A Vibo Valentia, la crisi sanitaria è quindi una crisi istituzionale prima ancora che politica: segno che lo Stato deve tornare a essere presenza, garanzia e responsabilità».

La salute come responsabilità politica

«Il diritto alla salute – prosegue il comunicato – mette alla prova il senso della responsabilità pubblica. Chi governa non è proprietario del potere, ma depositario temporaneo di una fiducia, da rinnovare ogni giorno con i risultati. Trasparenza nei criteri di spesa, equità nella distribuzione delle risorse e capacità di ascoltare i territori, distinguono un governo democratico da una semplice amministrazione burocratica. Le denunce delle associazioni non sono rivendicazioni localistiche, ma richiami civici: un appello alla Regione Calabria e alle istituzioni nazionali a ristabilire un equilibrio infranto.

Partecipazione e vigilanza: la democrazia dal basso

«La petizione del gruppo Caregivers Don Mottola, la denuncia costante del Movimento Osservatorio Civico Città Attiva, il grido di “Ali di Vibonesità”, le accorate richieste del movimento Ospedale Serra San Bruno e della Consulta dell’Ospedale di Tropea – si legge ancora – sono esempi di democrazia dal basso. Difendere il diritto alla salute significa riaffermare un principio di cittadinanza che si concretizza con l’equa distribuzione delle risorse: la democrazia vive qui e ora, finché le istituzioni e i cittadini vigilano, partecipano, pretendono trasparenza. Ogni firma sulla petizione per rivendicare l’equa distribuzione del Fondo sanitario è un atto politico, un modo per ricordare che lo Stato non è un’entità astratta, ma una responsabilità condivisa. Le democrazie non muoiono all’improvviso: si spengono lentamente, nel silenzio delle coscienze, quando l’indifferenza sostituisce la partecipazione. E nulla genera più indifferenza della rassegnazione di chi non crede più nella giustizia dei diritti».

Curare la sanità per curare la democrazia

«Il caso vibonese – conclude il dispaccio – ricorda che la salute non è solo un servizio, ma un indicatore di civiltà. Un ospedale efficiente, un medico che ascolta, un pronto soccorso che funziona: sono i luoghi dove la democrazia diventa tangibile. Là dove la sanità fallisce, si incrina la fiducia nello Stato, si allarga la distanza tra cittadini e istituzioni, si impoverisce il senso stesso della Repubblica. Un ospedale che funziona non è solo un presidio sanitario: è una promessa mantenuta, la prova che lo Stato non ha dimenticato i suoi cittadini. Difendere il diritto alla salute non significa solo chiedere più medici o fondi: significa difendere la democrazia, quella vera, fatta di eguaglianza, trasparenza e prossimità. Finché anche un solo cittadino sarà costretto a curarsi altrove per mancanza di equità, la nostra democrazia resterà incompiuta, in attesa di guarire se stessa e il proprio sistema burocratico».

Tags: ASP Vibo ValentiaLEAVibo Valentia
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