Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Domenico Naso, commercialista di Ricadi
Con grande ritardo ci si è accorti della grave crisi che sta attraversando il settore automobilistico e della conseguente perdita di tanti posti di lavoro. La fase discendente del settore ha inizio negli anni ’90 quando i tre principali produttori di autoveicoli italiani non hanno elaborato nuovi modelli in grado di competere con le autovetture prodotte negli altri Paesi.
Sono mancati gli investimenti in ricerca e l’applicazione delle nuove tecnologie al settore automobilistico. Ciò ha innescato un circolo vizioso che ha portato ad un crescente calo della produzione e delle vendite. Negli anni settanta, gli autoveicoli circolanti in Italia erano per l’80% costruiti nelle fabbriche italiane, oggi siamo ad appena il 20%, con gravi ripercussioni in termini occupazionali.
Le nostre autovetture (Alfa Romeo – Lancia – Fiat) erano molto apprezzate non solo in Italia ma anche all’estero. Per un tedesco avere un’autovettura Alfa Romeo o Lancia era uno status symbol. Oggi i termini si sono invertiti. In quegli anni le autovetture delle forze dell’ordine, quelle utilizzate dagli enti pubblici e anche dai politici erano rigorosamente prodotte in Italia.
Da tanti anni purtroppo non è più così. Sembra una cosa di poco conto, ma far vedere continuamente in televisione a milioni di persone che le forze dell’ordine e i rappresentanti delle alte cariche dello Stato utilizzano autovetture straniere, significa fare una gratuita e incisiva pubblicità a questa marche straniere, mettere in difficoltà la produzione di autovetture italiane, deprimere ancora di più il settore e fare perdere migliaia di posti di lavoro.
E’ di qualche anno fa la pubblicazione, sull’intera pagina di un importante quotidiano economico, della fotografia di due appartenenti alle nostre forze dell’ordine, con al centro un’autovettura prodotta in Francia e con sotto una didascalia che esaltava le doti dell’autovettura con la quale i militari avrebbero potuto svolgere meglio il loro lavoro. Propaganda gratuita, molto incisiva e molto dannosa per le nostra industria automobilistica.
Alcuni dei pochi modelli di autovetture di marca italiana vengono prodotti in Turchia e in Polonia. L’ottima idea di Marchionne di creare la fusione della Fiat con la Chrysler e i promettenti programmi di sviluppo di questo nuovo Gruppo sono scemati purtroppo con la sua scomparsa.
Oggi dobbiamo prendere atto che iI dimissionario Ceo della Stellantis Tavares ha operato bene solo per assicurarsi lauti compensi e garantire alti dividendi per gli azionisti, ma a discapito delle vendite e trasferendo la produzione, dagli stabilimenti storici dell’automobilismo italiano, all’estero con conseguenti pesanti perdite di posti di lavoro, nonostante le ripetute promesse di consistenti investimenti e produzione di nuovi modelli.
In Germania nel 2024 sono state prodotte 8.000.000 di autovetture, in Italia appena 310.000. E’ deprimente assistere alle gravi preoccupazioni di tanti operari che stanno perdendo il posto di lavoro ed altrettanto deprimente è assistere al forte zelo che sta animando i vari esponenti politici che, solo ora, si sono accorti del problema e pensano di poterlo risolvere promettendo qualche aiuto finanziario.
Ben vengano gli aiuti, ma quello che serve è un piano industriale serio per produrre autovetture di qualità, rilanciando i marchi storici del nostro automobilismo e per renderle competitive con quelle della concorrenza. Non serve produrre autovetture con gli aiuti dello Stato se poi non si riesce a venderle. La produzione dipende dal mercato.
Purtroppo le industrie che per tanti anni sono riuscite a conquistare ampio spazio nei mercati internazionali, vere eccellenze del settore, sono finite in mano ai tedeschi, come la Ducati, la Lamborghini e la Magneti Marelli. Tante altre importanti aziende italiane del settore degli elettrodomestici (Zanussi – Zoppas – Ignis – Rex), della moda (Valentino – Bulgari – Prada) sono state acquisite da società straniere, come anche la Tim che ha venduto l’intera rete telefonica a un Fondo americano. Purtroppo anche l’Alitalia è stata acquisita dalla Lufthansa. Per il nostro Paese è stato un duro colpo perdere l’Alitalia. Quasi tutti i Paesi hanno la loro Compagnia di navigazione aerea nazionale, anche i più piccoli paesi africani. Non è solo un problema di bandiera, la cessione può avere gravi ripercussioni in campo economico. Basta pensare solo alle conseguenze che ci possono essere per il l’importante settore del turismo, a causa delle probabili minori facilitazioni nei collegamenti aerei internazionali diretti nelle nostre principali destinazioni turistiche e dettate da nuove strategie di gestione
Gli altri Paesi europei difendono a spada tratta le loro aziende, come ha fatto la Francia che si è opposta all’acquisto della Chantiers dell’Atlantique da parte della nostra Fincantieri.
Bisogna valorizzare le imprese italiane incentivando la loro crescita e gli investimenti in ricerca e sviluppo per ottenere prodotti altamente qualitativi e competitivi sul mercato nazionale e mondiale. Noi cittadini, però, dobbiamo fare la nostra parte, privilegiando gli acquisti di beni prodotti in Italia, solo così possiamo realmente mettere al primo posto gli italiani.