Se l’amore obbliga da che parte stare, il disamore indica da che parte andare. Così accade in Calabria: più la Calabria mette le corna, più i calabresi si allontanano da lei. Questa la stima della situazione affettiva attuale tra la Calabria e i calabresi se si indaga sull’esodo degli ultimi anni tra emigrazione delle intelligenze ed emigrazione sanitaria.
La Calabria si crogiola nei suoi guai
Ma l’emigrazione non era una branca unica della questione meridionale? Sì che lo era, peccato che però mentre il resto del Meridione punta a cambiare l’acronimo di Sud da ‘Sono Un Diavolo – da evitare in Sono Un Dio’ – su cui puntare, la Calabria non ci pensa neppure, e i calabresi continuano a rimanere dannati nel girone delle loro stesse diavolerie. Sembrerebbe un carnevaletto pirandelliano, eppure è la cruda verità di un popolo che invece di fermentare come il mosto nei tini, si pensi alla sua attività vitivinicola riconosciuta nel mondo, fa la fine del pesce rosso: pur nell’acqua putrida vive, meglio ancora sopravvive. Ha senso?

La Calabria si crogiola nei suoi guai, che diventano sventure umane dei calabresi come tutte quelle legate alla malasanità regionale. Potremmo meglio dire, alla strafottenza di certi calabresi inoperosi che lavorano in sanità sulla pelle di certi altri loro corregionali bisognosi di cure. Una società calabra meschina a volte, danno e beffa di sé stessa, alla quale i due bei figli della speranza di cui parla tanto Sant’Agostino sembrano del tutto sconosciuti.
In fondo che saranno mai l’indignazione e il coraggio? Dopo la farina per il pane, il necessario che a molti calabresi manca: l’indignazione per le cose che non vanno e il coraggio di cambiarle. Nessuno che si offre a interpretare la parte del colibrì nella scena dell’incendio della foresta. Basterebbe appena una goccia d’acqua sotto il petto e seguire la direzione giusta. Tutti leoni invece, e a un palmo dal mio naso dove piglia piglia. Nessuno pronto a fare la propria parte, negli ospedali il gran numero di non idonei non la fa, e a subirne le conseguenze è un popolo intero.
Il pensiero di Corrado Alvaro
Corrado Alvaro scriveva che “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”. In Calabria meno della metà dei calabresi non fanno il loro dovere, ma la restante parte è colta dal dubbio. Che fine spetta alla terra di Tommaso Campanella? Altro che città del sole, piuttosto un dramma che o si risolve con una svolta epocale delle coscienze, o la ragione sarà tutta di Corrado Augias che in tempi meno sospetti ci diede dei perduti e degli irrecuperabili.
L’Italia, l’Europa, il resto del mondo fanno e narrano della Calabria ciò che noi calabresi permettiamo, e spesso causa la nostra inerzia, e per via di quelle includenti espressioni comuni che traducono il nostro ‘nobile’ discorso parlato in fatti ‘che non si fanno’: e tanto, ormai… Ma allora che serve fare ancora figli in Calabria? Ormai! Davvero dovremmo fare di più noi calabresi? E tanto! La verità è che fatta la Calabria, o si fanno i calabresi (fondati sulla responsabilità e la coscienza) o l’Italia muore. Nel frattempo, ragazzi calabresi, leggete, e per legittima difesa.