Riceviamo e pubblichiamo un intervento a firma della dottoressa di Vibo Valentia Donatella Fazio, medico di medicina generale.
Negli ultimi mesi, si sta consolidando una prassi che sta facendo discutere molti medici di medicina generale: i colleghi della continuità assistenziale – la cosiddetta guardia medica – sembrano aver rinunciato a uno dei loro compiti fondamentali, ovvero la prescrizione diretta di farmaci, esami e terapie necessarie in regime di urgenza differibile. Il risultato? A farsi carico della formalizzazione burocratica è, ancora una volta, il medico di base.
Quello che dovrebbe essere un rapporto di collaborazione tra professionisti rischia di trasformarsi in un cortocircuito organizzativo e assistenziale: il paziente si reca alla guardia medica, riceve un’indicazione terapeutica o diagnostica verbale (talvolta scritta su un foglio informale), ma viene poi indirizzato al proprio medico di famiglia per “farsi fare la ricetta”.
Il paradosso burocratico è che la figura del medico di famiglia, già sommersa da richieste di ogni genere, si ritrova a svolgere il ruolo di “scribacchino” non solo degli specialisti, ma anche di colleghi della stessa area della medicina generale. Una distorsione del sistema che va ben oltre la semplice cortesia professionale: si tratta di una delega inappropriata, che solleva interrogativi sia sul piano deontologico che su quello organizzativo.
È utile ricordare che il medico della guardia medica, nell’esercizio delle sue funzioni, ha piena facoltà prescrittiva. Questo vale per farmaci, esami diagnostici e anche certificazioni, nei limiti di quanto previsto dalla normativa vigente. Non è previsto – né giustificabile – che tale responsabilità venga sistematicamente scaricata sul medico curante il giorno successivo.
Le conseguenze sui medici di famiglia di questo comportamento genera almeno tre effetti negativi:
1. Aggravio di lavoro: il medico di base deve rivedere e validare decisioni cliniche prese da altri, senza avere visto il paziente e, spesso, con poche informazioni a disposizione.
2. Responsabilità non dovute: firmare una prescrizione equivale ad assumerne la responsabilità medico-legale. Questo vale anche quando si tratta semplicemente di “trascrivere” indicazioni altrui.
3. Erosione del rapporto medico-paziente: il paziente, giustamente, non comprende le dinamiche dietro questi passaggi e percepisce il medico di famiglia come un semplice esecutore burocratico.
Serve chiarezza e rispetto dei ruoli. Non si tratta di scaricare la colpa su singoli professionisti, molti dei quali lavorano con serietà e dedizione in condizioni difficili. Piuttosto, è urgente chiarire i confini operativi e le responsabilità, rafforzando l’idea di una medicina territoriale collaborativa, ma con ruoli ben definiti.
Le Asp e le Regioni devono fornire indicazioni chiare: i medici della continuità assistenziale devono poter e dover prescrivere quanto ritengono necessario nell’ambito del loro intervento. Non si può più tollerare una medicina “a metà”, dove si delegano gli oneri ma non si assumono gli onori (e le responsabilità).
In conclusione, se il sistema sanitario territoriale vuole davvero essere efficiente, non può continuare a reggersi sulle spalle curve dei medici di famiglia, trasformati in segretari sanitari e trascrittori ufficiali. Serve una riforma culturale e organizzativa che rimetta al centro la dignità della professione medica in tutte le sue articolazioni, nel rispetto dei ruoli e delle competenze.