La Consulta demolisce la legge Calderoli, ma anche la riforma costituzionale da cui essa ha tratto origine, ossia quel Titolo V che nel 2001 ha inserito nella Costituzione il discusso articolo 116 terzo comma che consente l’attribuzione alle regioni di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
Non solo, dice la Corte, la devoluzione di poteri alle Regioni deve riguardare “specifiche funzioni legislative e amministrative” e non intere materie, o ambiti di materie, come previsto dalla legge Calderoli (legge n.86/2024) ma vi sono competenze, nel lungo elenco (23 in totale) che la Costituzione ritiene astrattamente trasferibili alle regioni, “alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà”. E i giudici della Consulta, nella sentenza numero 192 sulla legge numero 86/2024 anticipata il 14 novembre scorso e di cui sono state depositate le motivazioni, non possono “esimersi dal rilevarle”.

Funzioni non trasferibili: si tratta del commercio con l’estero, della tutela dell’ambiente, della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, dei porti e degli aeroporti civili, delle grandi reti di trasporto e di navigazione. Per non parlare delle professioni e soprattutto della scuola che deve garantire “un’offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale”, ragion per cui “non sarebbe giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale“.
La parola definitiva passa alla Corte Costituzionale
Nella sentenza la Consulta salva l’impianto complessivo della legge, dichiarando non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, ma la smonta con interventi chirurgici accogliendo i ricorsi delle regioni Puglia (che ha presentato 12 motivi di impugnativa), Toscana (anche in questo caso i motivi di ricorso sono stati 12), Campania (15) e Sardegna (22 doglianze). La Corte ha esaminato anche le difese della presidenza del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle regioni Lombardia, Piemonte e Veneto.
Sì al trasferimento di funzioni, no a quello di materie: nelle motivazioni i giudici delle leggi hanno riconosciuto come il regionalismo corrisponda “ad un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione”. Ma, ammonisce la Corte, il nuovo articolo 116, terzo comma, Cost. “non può essere considerato come una monade isolata”. E “l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà e l’unità nazionale.
Nel frattempo la Cassazione ha dato l’ok al referendum per l’abrogazione dell’autonomia differenziata. Per l’Ufficio centrale della Suprema Corte dunque è legittima la richiesta di abrogazione. L’ordinanza della Cassazione arriva dopo il pronunciamento della Consulta che aveva, tra l’altro, considerato “illegittime” specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. La parola definitiva torna ora alla Corte Costituzionale.