Riceviamo e pubblichiamo un intervento a firma di Pino De Seta, storico ambientalista vibonese.
Egregio direttore, ho letto con interesse l’intervista al caro dottor Pino Paolillo, amico e compagno di tante battaglie vissute negli ultimi 40 anni a difesa del territorio, e condivido quasi totalmente quanto afferma. Dico quasi in quanto la problematica relativa alla depurazione delle acque reflue è senza alcun dubbio molto complessa, e le semplificazioni, ed i luoghi comuni, pubblicate spesso sui social media, non aiutano a comprendere. In primo luogo, è importante ricordare che l’Italia è sottoposta a procedure d’infrazione da parte UE (60 milioni l’anno) per non aver adempiuto alle direttive comunitarie riguardanti la tutela delle acque. Le Regioni maggiormente coinvolte sono Calabria, Sicilia, Campania. Ed infatti le maggiori responsabilità per la mancata attuazione delle normative europee in Calabria, e quindi la realizzazione di reti fognarie e depuratori efficienti, sono della Regione, a ciò si aggiunge anche una pessima gestione degli impianti, sia per mancata professionalità, o scarsità di risorse da parte dell’ente proprietario, cioè il Comune. Affinché si possa iniziare, un percorso virtuoso, complesso ma fondamentale, la Regione dovrebbe agire secondo le seguenti priorità da domani:
- Realizzare, nei comuni sforniti, impianti di depurazione e recuperare quelli che sono in pessime condizioni di gestione/manutenzione (la gestione dovrebbe essere assunta da ditte con esperienza nel settore e non improvvisate).
- Finanziare e realizzare progetti per la separazione delle reti acque bianche dalle nere, si diminuisce la portata e si eviterebbero gravi problemi all’impianto di trattamento finale.
- Non approvare strumenti urbanistici comunali nei quali si prevedono lottizzazioni/edificazioni in zone sfornite di rete fognante e depuratore.
- Realizzare immediatamente degli impianti per lo smaltimento dei fanghi di depurazione e fosse settiche, o utilizzare le piattaforme depurative esistenti del Corap, ente regionale portato allo sfascio da logiche politiche irrazionali.
- Dotarsi di una legge sulla tutela delle acque moderna, nella quale si specifichino con chiarezza competenze e responsabilità, le attuali norme risalgono al 1997, senza dubbio un po’ datate, nonché di norme chiare rispetto alle procedure per il rilascio dell’Aua (autorizzazione unica ambientale) prevista per le piccole e medie imprese, colmando un vuoto legislativo che produce inevitabili, ed assurdi, ritardi.
- Dare un senso compiuto ad Arpacal, dotando di attrezzature e personale una agenzia che dovrebbe essere supporto tecnico agli enti locali, ma che spesso si blocca per nodi burocratici e sovrapposizioni di competenze inaccettabili.
- Aggiornare il piano di tutela delle acque marine ed interne, fermo al 2009, verificando con puntualità le probabili/possibili fonti di inquinamento sia civile/domestico che industriale.
- Effettuare i controlli e la vigilanza tutto l’anno, e non solo per qualche mese, come si è fatto sino ad oggi.
- Realizzare una rete di monitoraggio delle acque reflue trattate, attivando, per esempio, le centraline di controllo dismesse da anni in dotazione ad alcuni impianti di depurazione di medie e grandi dimensioni.
È importante però sottolineare che anche i Comuni hanno delle competenze puntuali: sono obbligati a conoscere, per prevenire eventuali forme di inquinamento, tutti gli scarichi di acque reflue esistenti sul territorio. Infatti, questi enti hanno la competenza a rilasciare il cosiddetto permesso a costruire, e la conseguente autorizzazione allo scarico in fognatura, che senza un adeguato sistema di smaltimento delle acque nere domestiche non dovrebbe essere rilasciato. Infatti, spesso si assiste a situazioni paradossali: si permette la costruzione di case, o attività private, in zone non dotate di pubblica fognatura, o di impianto di depurazione, ed i nodi, successivamente, vengono al pettine. Tutto ciò è anche dovuto all’adozione ed all’approvazione di strumenti urbanistici “sovradimensionati”, che non tengono in considerazione delle fragilità e delle vulnerabilità del territorio.
Mi fermo qui, anche perché se ne potrebbero aggiungere altre di priorità, però è importante sottolineare che: finché la tutela ambientale sarà relegata ai margini delle decisioni politiche, o vista come una palla al piede dell’agire amministrativo, difficilmente si potranno vedere cambiamenti concreti. Il cambio dovrà essere radicale rispetto ad una situazione che si è incancrenita negli anni per scelte irrazionali.