Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pierluigi Lo Gatto, responsabile dipartimento Cultura dell’Udc.
Il patrimonio culturale di una comunità non è rappresentato da slogan o programmi roboanti, ma è l’essenza stessa della sua identità e storia collettiva. Identità e storia collettiva che ancora una volta a Vibo Valentia sono state derise e stuprate nel loro intimo ethos, ignorate davanti alle catene che ammutoliscono i cancelli chiusi, ingessate come le mura di quei palazzi che urlano vita ma a cui è stata data la morte.
Le erbacce colmano il vuoto della mediocrità, nascondendo ad occhi e menti antiche pietre e piangenti mosaici, seppellendo nell’ignavia quelle vestigia tanto osannate in campagna elettorale. Ma, cosa ancor più drammatica, non esiste un dibattito, un confronto, una qualsivoglia forma di proposta che esuli da grida ed insulti di Quartieri Spagnoli.
Nell’antica Grecia tutte le parole che iniziavano per Th dischiudevano alla conoscenza: così era per il Teatro, mezzo di educazione del singolo e della collettività. Pensate Eschilo o Euripide cosa avrebbero detto di fronte ad una arrogante e colpevole chiusura di un “luogo dell’anima”, inutilizzato per pitture scadute o scaduta capacità di chi ci amministra. E pensate il loro disgusto al cospetto di un Sistema Bibliotecario (ma davvero è un Sistema? E di che tipo?), dalle potenzialità enormi ma che si onora solo di avere un Presidente mentre langue in attesa di qualche dose di adrenalina da leggere sui giornali.
Fra poco tempo qualche sparuto turista si affaccerà per le vie del centro alla vana ricerca del Bello, e ritornerà alla sua dimora intriso di Brutto. Ecco quindi che i tesori che abbiamo non necessitano solo di semplice manutenzione, ma di una conservazione efficace che si traduce in opportunità per arricchire il tessuto urbano e rafforzare i legami con la nostra identità collettiva.
E per tale conservazione occorre la presenza umana: la sua assenza conduce all’abbandono. Sale e cortili vuoti, anfiteatri deserti, mura mai attraversate, basole mai calpestate impoveriscono noi stessi e ciò che ci circonda. Il patrimonio culturale ha bisogno di noi, così come noi di lui per rimanere davvero “vivi”. Solamente trasformando gli spazi storici in luoghi di incontro, scambio, vita, e, infine, di umanità, riusciremo a scrollarci di dosso il grande peccato di aver seppellito il nostro talento.
È un dovere sociale e di responsabilità. È un dovere di tutti i cittadini, nessuno escluso: è ora che Lazzaro si alzi e guardi negli occhi chi l’ha seppellito.