Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pino Paolillo – Settore Conservazione Wwf Vibo Valentia/Vallata dello Stilaro
Le recenti dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Vibo, Camillo Falvo, meritano alcune riflessioni e qualche approfondimento. Diamo atto al procuratore del maggiore impegno istituzionale su un problema, quello dell’inquinamento marino, non solo trascurato, ma addirittura negato o taciuto per troppo tempo (a parte qualche voce solitaria nel deserto, ormai divenuta rauca…) e di alcuni risultati ottenuti che però, per come ammesso dallo stesso Falvo, evidentemente non sono bastati, visto il ripetersi di fenomeni legati all’eutrofizzazione del mare e alle sacrosante proteste di cittadini e operatori turistici.
È stata finalmente riconosciuta e ribadita la complessità del problema legato alla diversità delle fonti di provenienza delle sostanze chimiche (specialmente Nitrati e Fosfati). Si tratta in prevalenza di reflui urbani non depurati (per mancanza di depuratori o per mancati allacciamenti) o depurati male (per depuratori inefficienti) e di fertilizzanti usati in agricoltura che, attraverso il dilavamento delle acque meteoriche, arrivano a mare innescando, gli uni e gli altri, con l’aumento della temperatura, la riproduzione delle microalghe fitoplanctoniche e le famigerate colorazioni anomale.
Sulle rispettive percentuali di “carico” di nutrienti immessi dalle diverse componenti che incidono sull’ecosistema, non è lecito azzardare ipotesi, stante la mancanza di dati generali, specie nel settore agricolo.
Ebbene, se nel primo caso si può parlare di sorgenti puntiformi, individuabili con (relativa) maggiore facilità (comuni privi di depuratori o con depuratori non efficienti, abitazioni non collettate, fanghi e scarichi abusivi), e sulle quali occorre insistere ad oltranza per una depurazione più diffusa, nel caso dei concimi usati in agricoltura, il problema, e di conseguenza la soluzione, diventa più complesso, trattandosi di vaste aree di terreno agricolo sottoposte a coltivazioni intensive.
Il riferimento è alla piana di Lamezia Terme, già dichiarata Zona Vulnerabile ai Nitrati (Zvn), in base alla Direttiva Nitrati, secondo la Delibera Regionale 119 del 31/3/2021. Tant’è che nella Carta della Vulnerabilità integrata dell’acquifero superficiale, ArpaCal ha evidenziato l’area come particolarmente sensibile ai Nitrati sia per l’estensione che per le attività agricole intensive.
Si tratta a questo punto di produrre tutti gli sforzi possibili per cercare di conciliare due attività, quella agricola e quella turistica, che rappresentano due fonti imprescindibili di reddito e di lavoro per migliaia di cittadini e che dovrebbero beneficiare l’una dell’altra (maggiori presenze turistiche determinano un incremento delle vendite di prodotti agricoli e un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente non può che favorire una migliore qualità del mare).
Gli agronomi sanno meglio di chiunque altro come contemperare le due esigenze, senza che una danneggi, anche se involontariamente, l’altra. Mi limito a ricordare oltre all’uso più razionale delle concimazioni (nei tempi, nelle quantità e nei modi), la costituzione di fasce tampone di vegetazione, le cosiddette “buffer strip”.
Si tratta di aree di 5- 10 metri di Tamerici, Salici, canneti, poste tra i campi coltivati e i corsi d’acqua, in modo che possano filtrare i nutrienti. Cosa ben diversa dalla distruzione sistematica, con ruspe, di tutta la vegetazione ripariale dei nostri fiumi, fossi e canali, che così si riempiono di fango poi scaricato a mare.
Per uscire una volta per tutte dal deleterio circolo vizioso delle accuse reciproche e dello scarico di responsabilità, è necessaria un’attività su vasta scala e su tempi non brevi che coinvolga le aziende agricole, attuando quel Piano di monitoraggio dei nitrati mediante stazioni di controllo sia per le acque superficiali che per quelle sotterrane così come previsto dalle normative europee. Solo così, attraverso la raccolta di dati, sarà possibile individuare eventuali criticità e agire di conseguenza per cercare di ridurre al massimo l’apporto di nutrienti, togliendo alle alghe le risorse e la possibilità di riprodursi in maniera esponenziale.
Senza dimenticare però che, secondo alcuni autori, molti di questi organismi del fitoplancton “riescono a produrre delle forme di resistenza (cisti) che rimangono nei sedimenti del fondo con densità che possono superare un milione di cellule /m2 e che in condizioni ambientali favorevoli si schiuderanno per iniziare nuovamente il loro ciclo”.
Una strategia questa che “potrebbe avere un ruolo “non secondario” nei fenomeni di bloom algale che periodicamente si verificano sulle nostre coste” (N. Della Croce, R. Cattaneo Vietti, R. Danovaro, 1997).
Insomma, per un problema così complesso non esistono soluzioni facili e a breve termine, inutile farsi illusioni. Il nostro mare subisce le conseguenze di troppi anni di aggressioni (e negazioni) di ogni tipo e c’è solo da augurarsi che ce ne vogliano di meno per risanarlo.
Un’alternativa non è tra le opzioni.