Era il 18 luglio del 1983 quando Salvatore Bennardo, giovane talento calcistico di soli 23 anni, venne ucciso in un agguato di ‘ndrangheta nei pressi di Fuscaldo, in provincia di Cosenza. Salvatore, allora calciatore della Morrone, rientrava da una partita disputata con la squadra, ignaro del destino che lo attendeva.
Viaggiava su una A112 insieme ad alcuni compagni di squadra, quando la loro auto fu affiancata da una Fiat 127. Da quel veicolo partì una pioggia di colpi d’arma da fuoco: il giovane fu ucciso sul colpo, mentre un altro calciatore rimase ferito a un braccio. Un attacco spietato e inspiegabile, almeno all’apparenza.
L’ombra della ‘Ndrangheta e l’errore fatale
Solo dodici anni dopo, grazie alle dichiarazioni del pentito Roberto Pagano, si scoprirà che si trattò di un agguato organizzato dalla cosca guidata dal boss Franco Pino. L’obiettivo dell’azione criminale era in realtà un esponente di un clan rivale. I sicari, tuttavia, sbagliarono auto, scaricando la loro furia sulla vettura sbagliata e distruggendo così la vita di un ragazzo innocente.
Nonostante le rivelazioni del collaboratore di giustizia, l’omicidio di Salvatore Bennardo è rimasto impunito. Al termine del maxiprocesso “Garden”, l’imputato per il delitto venne assolto e la sentenza divenne definitiva, lasciando la famiglia senza giustizia.
Il ricordo della sorella: «Era solo un ragazzo perbene»
Alba Bennardo, sorella della vittima innocente della ‘ndrangheta, ricorda ancora con dolore quella giornata estiva che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia. «Salvatore tornava da Fuscaldo dopo aver giocato una partita. Non frequentava ambienti a rischio, non aveva amicizie pericolose. Viveva in casa con noi, dedicandosi esclusivamente allo sport».
Il giovane, dopo aver militato nella Ternana, era tornato a casa per motivi economici e si era unito alla squadra della Morrone. Un ragazzo con la testa sulle spalle, una passione genuina per il calcio e una vita tutta da scrivere.
«Di quel giorno – aggiunge Alba – ho l’immagine fissa dei carabinieri che bussano alla porta, dicendo che aveva avuto un incidente. Solo dopo mezz’ora scoprimmo la verità».
Una storia da non dimenticare
Quella di Salvatore Bennardo è una delle tante vite spezzate dall’errore della criminalità organizzata, ma anche una vicenda che mette in luce l’ingiustizia di un delitto mai punito. Il suo nome resta impresso nella memoria di chi lo ha conosciuto e amato, e in quella di chi oggi continua a chiedere verità e giustizia.
























