Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pino Paolillo – Settore Conservazione Wwf Vibo Valentia/Vallata dello Stilaro
Quelli che, come me, hanno una certa età (uso un eufemismo), ricorderanno una canzone di Riccardo Cocciante che parlava della triste fine di un amore, dove però “era già tutto previsto”. Nel nostro caso si tratta pure della fine di una storia, quella lunga mezzo secolo, tanto silenziosa e discreta quanto produttiva e preziosa dei 18 Pini domestici (quelli dei pinoli buoni da mangiare) di Piazza Salvemini sui quali incombe la sentenza di abbattimento decretata dal Comune.
Riassumo: un progetto di cosiddetta rigenerazione urbana, redatto tempo addietro, prevede di cambiare i connotati alla suddetta Piazza, con viali in calcestruzzo, panchine, parcheggi e quant’altro, ma senza i pini preesistenti (tutti o qualcuno non si sa).
Lo si deduce dallo stesso comunicato del Comune quando afferma che nel progetto era prevista la piantagione di nuovi alberi, al posto di quelli vecchi. Logica vuole che la loro eliminazione, parziale o totale, fosse già stata esplicitamente prevista e programmata nel momento stesso in cui venne approvato il progetto.
A quel punto le ipotesi erano due: procedere subito al taglio dei bellissimi pini che godevano di ottima salute, non erano caduti in testa a nessuno, avevano tutto lo spazio per crescere belli e rigogliosi (con il rischio, in mancanza delle solite scuse, di suscitare una legittima protesta da parte dei cittadini), oppure cominciare ad asportare un bel po’ di terreno tutto intorno agli alberi (i cui cumuli sono ben visibili) con il conseguente affioramento e lesione delle radici, creando così le condizioni per una instabilità/pericolosità che sarebbe stata poi “certificata” dall’agronomo di turno ovviamente avallata dai rischi per l’incolumità pubblica.
Ricordiamo che “il 90% delle radici è generalmente concentrato nei primi 70 cm di suolo e la maggior parte delle radici assorbenti nei primi 15-30 cm. “(Prof. Francesco Ferrini, Ordinario di Arboricoltura e Coltivazioni Arboree all’Università di Firenze). E quindi, ancora una volta, via libera alla ormai scontata soluzione finale, e chi s’è visto s’è visto. Tanto, gli alberi non gridano, non possono scappare dalle motoseghe e la resina che sgorga dalle ferite non ha il colore del sangue. Per non parlare della redditizia destinazione finale, magari sotto forma di pellet o cassette per la frutta. Insomma, dopo il danno, la beffa: tanto vale risparmiare i soldi della perizia, visto che ormai, date le recenti esperienze, si sa come va a finire.
Senza dimenticare che piantare dieci alberelli al posto anche di un solo albero di cinquanta o sessant’anni, non sarà mai la stessa cosa, da qualsiasi punto di vista, a tal punto che “per compensare il valore di un solo albero di 80 anni di vita, bisognerebbe mettere a dimora più di tremila di nuovi alberi che abbiano almeno una circonferenza del tronco di almeno 14 cm” (vedi intervista all’agronomo di fama internazionale Daniele Zanzi del 17 febbraio).
Naturalmente la nuova piazza sarà più “moderna e fruibile,” con nuovi spazi, nuova pavimentazione, nuovi parcheggi e magari luci al Led per il risparmio energetico, ecc. ecc. Quanto al “verde”, a quello cosiddetto “attrezzato”, continueremo a preferire quello vero, quello dei Pini che danno ossigeno e ombra. E bellezza.
Quegli stessi la cui triste fine sembra essere già tutta prevista.