«L’associazione storico-culturale Ali di Vibonesità, dopo una ennesima, attenta e appassionata analisi sulla grave condizione in cui versa il sistema sanitario di Vibo Valentia, ha deciso di denunciare con forza la gravissima situazione giunta ormai al collasso e priva delle tutele minime garantite ai cittadini di altre realtà territoriali».
È l’esordio della lettera aperta firmata da Giuseppe Borello (cofondatore e già direttore del Centro Medico “San Giuseppe Moscati” di Vibo Valentia) e diffusa dall’associazione vibonese.
«Il Rapporto Gimbe 2024 fotografa una realtà drammatica: i vibonesi risultano ultimi in Calabria per qualità, accesso e livelli di assistenza sanitaria, e nello stesso tempo destinatari di risorse economiche tra le più basse dell’intera regione. È un quadro che conferma, con dati ufficiali, ciò che i cittadini vivono quotidianamente: disservizi, carenze strutturali, liste d’attesa interminabili e l’obbligo, troppo spesso, di migrare verso altre province o regioni per ricevere cure adeguate».

L’appello alle istituzioni
«Questa condizione – si legge nella lettera – rappresenta una palese violazione dell’articolo 32 della Costituzione, il quale afferma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Nel territorio vibonese, al contrario, questo diritto viene sistematicamente negato, identificando i cittadini in malati di serie B. Di fronte al conclamato disastro, non è più tempo di silenzi, né di promesse».

Conclude Giuseppe Borello: «Chiediamo un incontro urgente con il prefetto Anna Aurora Colosimo e con il sindaco Enzo Romeo, affinché si dia finalmente voce alle drammatiche istanze della comunità vibonese e si solleciti la Regione e lo Stato a intervenire con misure adeguate e straordinarie. Al presidente della Repubblica Sergio Mattarella viene rivolto un accorato appello: che la sua autorevole voce possa richiamare le istituzioni tutte al rispetto della Costituzione, per restituire ai cittadini vibonesi la dignità e il diritto alla salute che spettano loro come a ogni altro cittadino italiano».