Esattamente una settimana fa, con la dicitura “Sos occupazione”, l’Ufficio Studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia pubblicava il documento dal titolo “Fra 10 anni -3 milioni di persone in età lavorativa”. L’organizzazione sindacale, che eroga servizi alle imprese e si fa promotrice di battaglie a sostegno del lavoro autonomo e degli imprenditori, da tempo si concentra sulla ricerca nei settori economico, fiscale e giuridico. La nuova analisi punta l’attenzione sulla società che invecchia e sul futuro dei mercati immobiliare, dei trasporti, della moda e del turismo: è a rischio la tenuta dei conti pubblici, quando quasi solo le banche potranno trarne vantaggio.

Una popolazione che cambia
A sentire le proiezioni demografiche, entro i prossimi dieci anni le persone in età lavorativa (fra i 15 e i 64 anni) diminuiranno di 2.908.000 unità, il che equivale al 7,8% (la metà interesserà le regioni meridionali). A inizio 2025, l’Istat ci informava che tale fascia di popolazione ammonta oggi a 37,3 milioni e che gli attuali occupati totali sono 24,3 milioni; platea demografica che scenderà a 34,4 milioni nel 2035. Il progressivo invecchiamento sarebbe alla base del calo, dacché il numero sempre più ridotto di giovani e la prossima uscita di molti baby boomer (nati negli anni Sessanta) dal mercato del lavoro genereranno uno sfoltimento della coorte potenzialmente occupabile. Un trend condiviso, sciaguratamente, da ogni singola provincia italiana: la variazione assoluta negativa non dovrebbe lasciare scampo, al di là dei territori.
Si aggiungano a ciò l’instabilità geopolitica e le transizioni energetica e digitale, con le imprese destinate a raccattare seri contraccolpi. La questione va a braccetto con l’inevitabile progressivo rallentamento del Pil, strutturalmente contratto se la ridotta presenza di under 30 si accompagna con un’alta incidenza di over 65: non esistono misure efficaci in grado di modificare la tendenza in tempi ragionevolmente brevi, né ci si potrà efficacemente appellare alla manodopera straniera. Un quadro che si aggrava ulteriormente considerando il conseguente e sostanzioso aumento delle spese previdenziale, sanitaria, assistenziale, pensionistica e farmaceutica, relato con una società anziana; i conti pubblici non faranno che risentirne oltremodo.

Bene le banche e l’occupazione al Sud
E se da un lato chi è in età avanzata è meno propenso a spendere, riducendo il volume d’affari dei mercati immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo, dall’altro è più incline al risparmio e al deposito negli istituti creditizi. Già è qualche anno che si denunciano, da Nord a Sud, grosse difficoltà nel reperire personale qualificato; tuttavia, nell’imminente futuro, proprio il Meridione dovrebbe riscontrare meno problematiche, grazie ai tassi di disoccupazione e inattività particolarmente elevati, i quali almeno parzialmente ci si aspetta che colmeranno le lacune occupazionali previste (specie nei settori agroalimentare e turistico-ricettivo).
Diverse micro e piccole aziende non si troveranno nelle condizioni di procedere ad assunzioni e ridurranno gli organici. Saranno così preferite le medie e grandi, più strutturate, disponibili a erogare parecchi benefici (salari superiori alla media, orari flessibili, pacchetti di welfare).
Per la Calabria e Vibo Valentia, dati scoraggianti
Il Mezzogiorno sarà comunque il più colpito dalla contrazione demografica per l’età lavorativa, con la Calabria che subirà un decremento del 12,1%, ossia -139.450 unità. Vibo Valentia si attesta come la provincia peggiore nella regione, posizionata ben in nona posizione all’interno della classifica generale: dagli odierni 93.942 ci si assesterà sugli 80.521 occupabili nel 2035, con una variazione assoluta di -13.421 e una relativa del -14,3%.
