
«Per parlare di sanità, vogliamo curare o utilizzare la malattia e il malato per dare una dimostrazione di saper fare? Siamo in Calabria, dove tutto è normale, anche morire per banalità, dove attendere che gli altri facciano qualcosa è la prassi, dove ribellarsi ad una imposizione incongrua e deleteria diventa una assurdità. Ma anche quando questa imposizione riguarda la nostra salute e vita, da buoni calabresi, aspettiamo lo stesso, cosa aspettiamo? Che qualcuno gridi, che qualcuno scriva, che qualcuno agisca a difendere chi, muto, in sordina, con la testa china, misericordiosamente, aspetta di vedere giustizia, salute e dignità». Pensieri e parole di Marianna Rodolico, dottoressa in servizio presso il Pronto soccorso dell’ospedale civile “Jazzolino” di Vibo Valentia. Lo sfogo del sanitario è affidato a un drammatico post pubblicato nella sua pagina social. E le parole che si leggeranno di seguito suonano davvero come un vero e proprio atto d’accusa che l’interessata scaglia contro «una assurda politica sanitaria che pone come priorità la burocrazia e come ultimo interesse, la salute dei pazienti».
La discutibile gestione del soccorso sanitario sul territorio calabrese
«Tutto questo preambolo – spiega dunque la dottoressa – per introdurre un problema, la gestione del soccorso sanitario sul territorio calabrese, cambiata da qualche mese e con risvolti devastanti. Chi paga è sempre il paziente, come? Attendere sul territorio una ambulanza la cui gestione dipende da Cosenza, che rimbalza la palla a Catanzaro, da cui parte una comunicazione alle periferie che consente di intervenire sul luogo di un evento. Un territorio individuato con Google maps con ambulanze dislocate, spesso private, spesso senza medico, con soccorritori inesperti e infermieri disperati». Risultati? Eccoli: «Ritardi nei soccorsi – tuona la Rodolico -, incompetenza nella gestione, confusione nelle priorità. Risultati: pazienti che giungono in ospedale deceduti, altri senza terapia, altri, senza indicazioni diagnostiche, altri, visto il ritardo nei soccorsi, con mezzo proprio. Altro risultato è l’intasamento di barelle in Pronto soccorso per la confusione dei codici di priorità».
La «via crucis» dei trasferimenti dei pazienti da ospedale ad altro ospedale
La Rodolico chiarisce che comunque non finisce qui: «Altro dramma – spiega infatti l’interessata – sono i trasferimenti da ospedale ad altro ospedale. Inizia la via crucis, telefonata alla centrale di Cosenza con un numero a 9 cifre con, ben che vada, 5/10 minuti di attesa nella risposta, comunicazione passata a Catanzaro che chiede notizie del trasferimento su telefono registrato, ma non basta, si chiede anche una mail da inviare con i dati anagrafici del malato, la malattia e il codice di uscita. Tutto ciò nei tempi preziosi di un medico di Pronto soccorso che gestisce anche le altre urgenze. Poi dalla centrale di Catanzaro la comunicazione al territorio per il trasferimento. Questo che si racconta è l’iter quotidiano di una gestione sanitaria complicata e strafottente, dove la burocrazia prende il sopravvento sulla salute e sulla vita delle persone e la rabbia prende il posto della comunicazione tranquilla. In questo contesto, fa nota un paradosso pauroso e indecente, che testimonia in concreto, la confusione e il delirio, sembrando una storia surreale, cioè assistere in Pronto soccorso ad un comando di rientro in sede, a Tropea, di una ambulanza vuota, senza paziente, equipaggiata anche di medico, perché il protocollo non prevede che un malato da trasferire, da 3 giorni in attesa per un posto letto, venga fatto con quella ambulanza. Ma di quale protocollo parliamo? – si domanda la dottoressa – Sicuramente del protocollo che dà senso a questa polemica, prima le regole, le perfezioni, il dovere, la burocrazia, poi il malato, che se aspetta da 3 giorni, può ancora attendere sulla barella per chissà quanto tempo ancora. Il commento lo lascio ai lettori, la rabbia ai cittadini, ai malati, agli operatori sanitari che quotidianamente dedicano con impegno, dedizione e sudore il proprio operato professionale alla cura di chi soffre, lottando – questa la conclusione della Rodolico – contro una assurda politica sanitaria che pone come priorità la burocrazia e come ultimo interesse, la salute dei pazienti».