«Ora basta. Il Pennello di Vibo Marina grida ancora una volta aiuto, ma la stasi amministrativa di 19 anni del recupero del quartiere dimostra inefficienza e la mancanza di volontà politica d’intervento comunale. Politica vibonese che continua a colpevolizzare i residenti, per quella necessità della casa trovata nell’abusivismo, mentre la classe dominante comunale si creava, con un Piano regolatore generale ad hoc, le regole edilizie a proprio favore negli altri quartieri, vedi la frazione Bivona e il quartiere Cancello Rosso di Vibo, dai simili caratteri edilizi e urbanistici».
Lo afferma l’ex capigruppo del Movimento 5 Stella al Comune di Vibo Valentia Domenico Santoro, peraltro architetto urbanista.
Le colpe della politica
In questi anni – prosegue l’interessato – «la politica ha negato il recupero dei quartieri in degrado, ma ha speso 150 milioni per manutenzione e pavimentazione piazze. Di ciò è colpevole sicuramente l’amministrazione Limardo, ma ciò non esime il sindaco Romeo di rompere immediatamente lo sbaglio e di non essere più la “cinghia di trasmissione” dei lavori Limardo “errati e dannosi”. Dannosi fino al punto che nel pieno acquazzone i Vigili del Fuoco, su viale delle Industrie, cercavano un tombino occultato dai lavori inusitati sui marciapiedi, inutili e quindi, come detto, anche dannosi».
Scongiurare l’alluvione
Ma, a parere di Santoro, «è proprio il Piano urbanistico il perno del recupero per poter ideare quelle aree di afflusso torrenziale (laghetti) e scongiurare l’alluvione. In un anno della nuova amministrazione, nessun passo avanti è stato fatto, nemmeno quel Piano di recupero, iniziato 6 anni fa, del quale sono stato costretto a rinunciare al suo coordinamento poiché divenuto consigliere comunale».
Un Piano «facile a riconoscere i vincoli inibitori e quindi il resto in positivo ciò che sia possibile cedere ai residenti, che hanno pagato anticipando 800.000 euro per l’acquisto dei terreni e che ora, passati i dieci anni giudiziari, ritorneranno alle cause per la proprietà. Dall’altro lato – aggiunge l’ex capogruppo – nessun atto ufficiale è stato fatto per allontanare il grosso rischio dei depositi costieri, mentre è proprio la nuova individuazione urbanistica che decreta la possibilità di spostamento delle cisterne di petrolio».
Questioni tecniche da modificare
Detto questo, Santoro spiega che «la questione tecnica principale da modificare è l’illusione di poter fermare l’alluvione cementificando i torrenti, mentre solo i laghetti di laminazione fermano la piena dell’acqua, e il Pnrr ne finanziava tantissimi, ma Vibo non ne ha chiesto nemmeno uno. Ora vi è un progetto, tenuto ben in riserbo, di circa 20 milioni con tanto cemento e pochi “laghetti”».
In questo quadro, «vi è da chiedere a questa amministrazione di “democratizzare la conoscenza” e di pubblicare tutti i progetti, in modo che i cittadini possano venire a conoscenza dei lavori che verranno fatti. Progetto Maione E non serve quel progetto di cementificazione chiamato “Maione”, per separare le fogne bianche da quelle nere, basta tagliare i discendenti dei nostri edifici, per non fare andare più le acque meteoriche nelle fogne e i tombini non salteranno più. Lo prescrive perfino la legge italiana (D.Lgs. 152/2006), ed inoltre lo prevede la Regione Calabria quando prescrive il 35% dei lotti condominiali a terreno permeabile all’acqua QTRP 2012».
Appello all’amministrazione Romeo: «Si utilizzino i Piano urbanistici»
In questo quadro, l’ex capogruppo lancia infine un appello all’amministrazione Romeo ad utilizzare «l’urbanistica come propulsore di sviluppo e non più per qualche casetta aggiuntiva. Oggi i Piani urbanistici servono per la ricerca delle conduzioni positive per un nuovo sviluppo della città e quello approvato qualche anno fa, il Piano strutturale comunale, è nato già morto, poiché rigido e con la previsione inusitata e anacronistica del raddoppio del consumo di suolo, 514 ettari di nuova edificazione, che nessuno utilizza, ed anzi aiuta la fuga dei capitali vibonesi verso città a sviluppo certo».
Ed, infine, il settore della mobilità comunale oggi denota – chiude Santoro – «una fragilità estrema, mentre richiedeva, fin dall’alluvione del 2006, una riorganizzazione tecnica generale. Quindi, se non si vogliono piangere altri morti, la politica faccia presto quanto deve».