Della Vibo antica affascinano le scalinate, ve ne sono diverse, e a costeggiarle sono i palazzi e il verde. Pensate a quanto intima sia via Dei Sette Martiri: la vegetazione, le vecchie case, il largo che fa da cornice. Purtroppo, si percepisce anche un velo di malinconia, che racconta di una regione umanamente desertificata, di un abbandono antropologico, prima ancora che politico.
Abbiamo percorso i vicoli che portano alla chiesa di Sant’Antonio, in un pomeriggio fresco e ventilato d’estate e a spiccare sono le case abbandonate da molto tempo: non si sente nessun rumore, solo qualche auto fuggiasca in punti non interrotti.
Esattamente come un tipico borgo di campagna calabrese, le cui mura parlano di un esodo. Alla chiesa di Sant’Antonio si arriva con la testa all’insù, per osservare i balconi, le facciate, di palazzi tra i più antichi della città. Sono testimoni di un tempo che da rumoroso si è fatto silenzioso.

La chiesa e il convento
Da largo Sant’Antonio si osserva la diversità delle costruzioni, è una posizione geografica privilegiata. Il convento dietro la chiesa è chiuso, mentre la chiesa è ancora attiva: si celebra la Santa Messa tutte le mattine. Il primo convento dell’Annunziata fu fondato nel 1534 da Ludovico da Reggio, sorgeva in località “Madonnella”.
Esattamente un secolo dopo su istanza di Girolama Colonna Pignatelli, vennero edificati il nuovo convento e la chiesa, dedicata all’Immacolata Concezione e destinata a ospitare i Frati Cappuccini. Una donna influente Girolama Colonna coniugata Pignatelli. Nel 1783 in seguito al sisma, i Cappuccini abbandonarono il convento, che ospitò il l’Ospedale civile.

Gli interni
La chiesa è a navata unica, sui lati si aprono piccole cappelle. Uno stile sobrio e a tratti austero. Antecede l’ingresso un atrio, sulle cui pareti laterali vi si scorge una pittura muraria logorata dal tempo, nella quale si possono individuare figure militari e personaggi ecclesiastici. L’altare è di legno con bassorilievi del 1659, in sintonia con la semplicità monastica. La tela dell’altare raffigura Maria Immacolata con i santi francescani, riconducibile a Pacecco De Rosa.
L’opera monumentale in legno lascia basiti: la bellezza dello zoccolo, della gola intagliata a foglie, la trabeazione ricca di intagli, il fregio. Sulla parte laterale del presbiterio, è presenta una tela di Luca Giordano. Sull’altare un dipinto di Pacecco De Rosa: la Vergine Immacolata con una corona di angeli, accanto i santi francescani. Una pittura chiaroscurata, in sintonia con i canoni napoletani del seicento. Nella chiesa fu seppellita suor Rosa Capialbi, personalità amata, morta nel 1734.
I cappuccini e la biblioteca
Il convento dei Cappuccini era dotato di una importante biblioteca, si legge in un documento: «Con apostolica facoltà impetrata dal Sommo Pontefice Urbano VIII ai 18 agosto 1642, fu loro prima cura di aggregare al convento prescelto per custodia generalizia, noviziato, studio e adunanze dei comizi provinciali, anche copiosa biblioteca».

Un viaggio all’insegna dell’arte e dell’umano divenire. In una area che, lo scriviamo con tristezza, appare urbanisticamente sconsacrata.