
Una mattinata calda di settembre, palazzo Murmura a Vibo Valentia ci accoglie in una atmosfera storica, avrebbe infinite storie da raccontare, lo si percepisce appena varcato il grande portone da Corso Umberto I. Manifesti elettorali della Democrazia Cristiana, una collezione di macchine da scrivere e una quantità inimmaginabile di volumi, raccolte di vecchi giornali, faldoni di archivio: le stanze della Fondazione Antonino Murmura raccolgono il novecento e lo restituiscono generosamente al visitatore. Il palazzo possiede una caratura importante: sale maestose, impeccabilmente apparecchiate, salotti signorili, un giardino immenso e una meravigliosa dependance. Tuttavia, a colpire sono le librerie: letteralmente in ogni angolo della casa, migliaia e migliaia di libri di genere diverso, alcuni veramente molto antichi. La libreria della mansarda è un capolavoro: sembra l’incipit di un romanzo del tardo ottocento. Incontriamo la signora, Maria Folino Murmura, in giorni nei quali in città si discute se intitolare o meno piazza Garibaldi al senatore Antonino Murmura, come proposto dall’associazione Ali di Vibonesità. Antonino Murmura è stato sindaco di Vibo Valentia, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, membro di altre Commissioni, sottosegretario al Ministero della Marina Mercantile, sottosegretario al Ministero dell’Interno. L’intervista, tuttavia, tocca diversi punti, ne viene fuori il ritratto di un politico che sapeva ascoltare: «Una volta perdemmo l’aereo – racconta la moglie del compianto senatore – perché mio marito doveva ascoltare un uomo, ma le potrei raccontare una moltitudine di vicende come questa. A 25 anni era sindaco e fu lui a ripristinare la statua di Razza, perché rispettava il pensiero di tutti, era un grande mediatore e garante».
Perché questa città dovrebbe intitolare una piazza a suo marito?
«Questa è una idea dei cittadini, di quelli che lo stimavano e gli volevano bene. Deciderà la giunta comunale, ma torno a dire: l’iniziativa è civica. Certamente, la famiglia, come è ovvio, ne sarebbe molto felice. Ciò nonostante, il dibattito democratico rimane sempre e comunque interessante».
Chi era suo marito per i vibonesi? E come lo ricordano secondo lei?
«A 25 anni è stato eletto sindaco di questa città. E tra i primi provvedimenti requisì le case vuote per darle ai senza tetto. Mio marito era un democratico, aborriva il Fascismo, eppure in una notte di tempesta andò nei magazzini del Comune, riprese la statua di Luigi Razza e i vibonesi la mattina dopo la trovarono issata. Al di là della politica, Antonino Murmura garantiva il pensiero di tutti. È stato all’apice della popolarità: quando io arrivai a Vibo c’era una piazza zeppa per lui e mio fratello mi disse: “Toni potrebbe fare la rivoluzione”. Vendette un suo palazzo per pagare le farmacie: prendeva le medicine per tutti. Se qui venivano una persona importante e un operaio, il senatore riceveva l’operaio».
Che ricordo ha lei della Vibo degli anni ’60?
«Sono arrivata a Vibo nel 1963, dopo aver girato molto e vissuto anche all’estero. Vibo a quell’epoca era per diversi aspetti un centro piccolo. Mio marito battagliò per costruire la Provincia di Vibo proprio per questo: per dare a questa terra visibilità ed importanza».
Supponiamo che lei debba raccontare ad un ragazzo, nato nel duemila, il senatore Murmura con una sola frase…
«Direi che è stato l’uomo del popolo, pur non venendo dal popolo, combattuto all’epoca dalla sua classe sociale proprio per questa ragione».
Che infanzia aveva avuto il senatore?
«Proveniva da una famiglia abbiente, molto importante è stata la madre, mia suocera. Si era laureato a 21 anni in Legge alla Federico II, rimase sempre legato a Napoli. All’inizio fece l’avvocato, ma per pochissimo, fu poi candidato sindaco».
Come vi siete conosciuti?
«Eravamo a cena con mio fratello, quando chiedemmo il conto ci dissero che l’aveva pagato l’avvocato Murmura. Io avevo 27 anni, ma avevo già fatto un sacco di cose, ero una pianista e un avvocato».
Quali sono state le grandi battaglie di suo marito?
«Direi assolutamente l’istituzione di Vibo Provincia, la candidatura al Senato: non volevano mio marito candidato, poiché all’epoca c’era conflitto con Catanzaro, ci fu una autentica rivoluzione. Io un giorno andai a parlare in una sezione di partito a Vazzano e ad un certo punto si alzò un signore e mi disse: “Voi parlate anche bene, ma noi sempre Murmura voteremo”».
Che passione aveva suo marito?
«Il calcio: un grande tifoso dell’Inter e della Vibonese».
Signora Folino cosa ha amato del senatore Murmura?
«Era un uomo decisamente interessante».
Quale è stata l’ultima cosa che le ha detto prima di morire l’8 dicembre del 2014?
«Non sapeva di dover morire, ci siamo sentiti al telefono, doveva rientrare da Roma e mi disse: “Ci vediamo il 9 per il tuo compleanno”. Siamo stati grandi alleati sa».