È un autentico pasticciaccio e non ha nulla di gaddiano. La mancanza di lavoro in Calabria è una emergenza che travolge le persone, genera alienazione sociale, scardina ogni paradigma antropologico. Oggi la regione è una folla di persone che corre, spesso con stanchezza, impotenza, frustrazione e rassegnazione. Si è abituati a partire per non tornare, quasi fosse una leva obbligatoria: sono calabrese e dunque ho la valigia sotto il letto. Siamo ancora fermi qui. Una regione con un reddito pro capite basso, un tasso di disoccupazione altissimo, una fetta cospicua di popolazione giovane che non ha mai svolto una mansione regolarmente retribuita, una percentuale enorme di lavoro nero e il dato più drammatico: tanti incidentati sul lavoro, perché quando il lavoro manca, il poco che c’è è precario, insicuro e condanna il lavoratore.
Cifre, numeri e dati allarmanti
All’interno delle professioni, poi, la Calabria presenta una bassa incidenza di occupati nei settori ad alta qualificazione, come racconta l’Istat: sono solo il 15% coloro che svolgono una professione intellettuale; mentre le professioni non qualificate e a bassa specializzazione costituiscono il 40% della forza lavoro regionale, contro al 30% nazionale. Il lavoro nero si interseca con il caporalato e chi accetta di lavorare senza tutele né contrattazione lo fa per stretta sopravvivenza. I settori più caldi sono: la ristorazione, il commercio, i servizi alla persona, il turismo, l’edilizia. In particolare, nel turismo e nell’agricoltura si attestano tassi di irregolarità ispettorati del 70/80%. Un salario medio in Calabria è di 1.200 euro al mese, la media nazionale è di 1.800 al mese, la fonte di questi numeri è sempre l’Istat, denunciano senza veli povertà e sottosviluppo. E si entra in una spirale viziosa e senza uscita: la mancanza di lavoro spinge a partire, spogliando questa terra di energie fisiche e intellettuali, trasformandola letteralmente in un villaggio povero per pensionati. Una desertificazione di capitale umano: il 30% dei laureati calabresi cerca immediatamente lavoro fuori. Di qualità del lavoro, disagi, necessità di investimenti, disparità, vertenze, abbiamo parlato con due sindacalisti: Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro – Crotone – Vibo e Vitaliano Papillo, segretario provinciale della Cisal.

«Non si può considerare rapporto di lavoro un contratto di tre giorni»
In Calabria contratti per tre giorni di lavoro Enzo Scalese lo abbiamo incontrato a Vibo Valentia nel complesso del Valentianum, prima di un convegno organizzato dall’Inps: «L’occupazione è in crescita in Calabria, ma per contratti a tempo determinato. Non si può considerare rapporto di lavoro un contratto di tre giorni, sono situazioni che però si verificano, li registriamo, ce li raccontano i lavoratori. I contratti si disattendono, soprattutto nel settore turistico: i salariati stagionali vanno incontro a carichi di lavoro massicci e retribuzioni inadeguate. Ed è nei giovani che la disoccupazione galoppa: mancano all’appello intere generazioni: sono andati tutti via, non c’è più tenuta sociale. Gli investimenti scarseggiano, viene meno la linfa. Baker Hughes è un caso illuminato, ma per attirare aziende così è necessario creare attrattive e servizi. Da noi le disparità si accentuano perché l’offerta di lavoro è scarsa. E molto spesso non si ha una visione organica delle realtà produttive: proviamo a pensare alle aree industriali, a quella importante di Lamezia Terme, dove ci sono tante piccole realtà, innumerevoli lavoratori, ma non si riesce ad avere uno sviluppo complessivo e trainante». E i lavoratori, in un contesto così fragile, sono inevitabilmente più esposti: «Sul lavoro si muore di più rispetto al resto d’Italia: è meno sicuro, questo ce lo dicono chiaramente i numeri. La sperequazione tra il lavoro femminile e maschile è marcata rispetto alle altre regioni: qui probabilmente si apre anche una questione culturale».
I problemi sono tanti, ci sarebbe da scrivere una bibliografia: « Il costo del trasporto, – è sempre Enzo Scalese che parla – è altissimo, e questo grava quanto un macigno. Tuttavia, la Calabria è una regione che al futuro potrebbe guardare con fiducia, lo dico senza esitazioni, pensate alla provincia di Vibo». Enzo Scalese è un sindacalista di lungo corso, conosce bene la morfologia di questa terra, la sintassi delle dinamiche lavorative: «Sono stato anche un sindacalista di categoria nell’agricoltura nell’edilizia, e ho visto e vissuto diverse vertenze, tante crisi, mi ha impattato molto però la vicenda dell’Abramo Customer Care, azienda di call center calabrese, dove ci sono 1.000 lavoratori, professionalità che hanno molto e non sanno quale sarà il loro futuro prossimo».

I giovani e quel lavoro irregolare
Gli stessi temi li abbiamo affrontati con Vitaliano Papillo, segretario provinciale di Vibo Valentia della Cisal, il quale ci ha delineato una cartolina regionale definita: «Una pletora di giovani si rivolgono ai sindacati per denunciare situazioni di non regolarità, di violazione dei contratti e noi li accompagniamo all’Ispettorato del Lavoro, perché queste situazioni vanno solo denunciate. Lavorano molto di più rispetto a quanto stabilito nei contratti ed esistono problemi importanti di retribuzione: la proporzionalità è inversa. Il bisogno di molte persone diventa un pretesto per i datori di lavoro, questo succede nei territori come i nostri, dove l’offerta di lavoro è scarsa. Certamente, in alcuni casi manca lungimiranza, visione a lungo termine da parte degli imprenditori, che per contenere i costi risparmiano sul costo del lavoro, il quale certamente in Italia è alto. Si mordono la coda praticamente. Ma quando il sistema è debole, proliferano situazioni di questo tipo, c’è chi nei disagi approfitta e non scopriamo l’acqua calda. E due settori caldi, in questo senso, sono quello turistico e quello edile, dove c’è molto abuso. E il dipendete arriva da noi sindacalisti perché non riesce ad interloquire con il suo datore».
L’importanza rivitalizzante degli investimenti, del capitale che arriva da fuori: «La Baker a Vibo ha già investito, conosce il territorio, è un emblema: se questi grandi gruppi vengono in Calabria e prendono la manodopera qui, senza una circoscrizione temporale, possono realmente dare una marcia diversa al nostro mercato del lavoro. Oggi, comunque, rispetto al passato su alcuni fronti qualche passettino in avanti lo abbiamo fatto: c’è una predisposizione a fare rete, sistema, più sensibilità nelle logiche, negli approcci, al futuro si pensa. L’approccio al mondo turistico è diverso, qui ci giochiamo la partita più importanti. Sono piccolissimi segnali interessanti».
La percentuale delle donne occupate è molto bassa, e anche qui ritorna la stessa formula: in contesti sottosviluppati i deboli lo sono ancora di più. «Sui numeri dell’occupazione femminile non siamo assolutamente contenti, – continua Vitaliano Papillo – è vero che qualche movimento, benché molto piccolo, si rileva, ma i dati in generale sono critici. Io da presidente del Gal Terre Vibonesi le posso dire che ad un bando sulle startup hanno partecipato molte donne giovani e con idee brillanti, ma non basta a scardinare il trend e a invertire la narrazione, purtroppo. E per questo, torno a dire con forza, che abbiamo bisogno di aziende che vengano ad investire qui, perché è vero che il lavoro si può anche creare: ma non tutti abbiamo il talento o la volontà di fare gli imprenditori. Ciò nonostante, affinché vengano le imprese da fuori a immettere capitale, è necessario creare i servizi».
Il panorama complessivo problematico, ma la criticità è endemica, storica, radicata ormai persino nel modo di pensare e di parlare: l’idea secondo cui il lavoro debba essere una sopravvivenza in attesa di un treno che parta.