«Adsi è l’Associazione Dimore Storiche Italiane, che raccoglie proprietari di dimore storiche sul territorio italiano e si declina in 20 sedi regionali, una delle quali in Calabria. Il direttivo di quest’ultima si è rinnovato da poco nei suoi organi; pertanto, il timone è passato dall’ambasciatore Gianludovico De Martino alla giovane e promettente Elisabetta Taccone Acton, che si muove perché l’associazione possa raggiungere nuovi traguardi e affrontare nuove sfide».
Sono le parole con cui Anna Murmura, presidente dell’Archeoclub d’Italia sede di Vibo Valentia, inizia un ulteriore intervento sul rilancio del turismo locale.
«La proposta che qui si presenta partirebbe dal nostro territorio per diventare un modello replicabile a livello regionale e nazionale. Ci teniamo a sottolineare il grande valore storico-artistico che le dimore nobiliari rivestono: esse, infatti, costituiscono il più grande e diffuso patrimonio storico d’Italia. In ogni città, in ogni paese e in ogni frazione italiana c’è almeno un palazzo storico che racconta la sua storia e la storia della o delle famiglie che lo hanno abitato».
Le linee operative della proposta
«Queste dimore – afferma Anna Murmura – custodiscono al loro interno archivi familiari (e non solo, a volte), biblioteche, pinacoteche, collezioni archeologiche e numismatiche, e sono spesso corredate da lussureggianti giardini. Ma ciò che di più prezioso esse conservano sono le tradizioni nobiliari: il saper vivere, il saper curare la mise en place e il galateo della tavola, oltre alle tradizioni culinarie. Un patrimonio immateriale da tramandare alle future generazioni».

Per non disperdere questo patrimonio «di saperi e tradizioni, si potrebbe creare a Vibo Valentia un centro studi sul tema delle memorie familiari nobiliari, al fine di valorizzarle e di farle conoscere ai cittadini e ai visitatori. L’idea dovrebbe seguire le seguenti linee operative:
- realizzazione, in collaborazione con la Facoltà di Beni culturali dell’Unical e l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, di una guida scientifica ma di taglio divulgativo dei palazzi nobiliari;
- attività di ricerca delle ricette del Regno delle Due Sicilie: in relazione alla cucina meridionale, ci tengo a ricordare la sua origine francese, come si evince da alcuni libri pubblicati sul tema; tra questi, quello della nobildonna catanese Teresa Spadaccino, dal titolo “La Sicilia dei Marchesi e dei Monsù: Il libro di cucina della Marchesa Grazietta Tedeschi” (“monsù” è l’abbreviazione di monsieur, “signore” in francese, e i cuochi delle famiglie nobiliari del Regno delle Due Sicilie erano francesi); si potrebbero creare menù ad hoc, collegandosi con l’Adsi e con gli istituti alberghieri di Vibo e Tropea, per realizzare un brand culinario (assoluta novità nel panorama italiano) e organizzare pranzi e cene di gala per rivivere atmosfere gattopardesche;
- organizzazione di corsi di galateo, incluso il galateo della tavola, insegnando l’apparecchiatura e le buone maniere conviviali;
- realizzazione di una rete vibonese di musei e case museo che conservino le suddette memorie familiari, da inserire in percorsi turistici della Calabria e dell’Italia meridionale, venduti da agenzie e tour operator in tutto il mondo;
- organizzazione di giornate speciali nelle dimore storiche, aprendo questi luoghi straordinari non solo alla visita ma anche al dialogo con l’arte contemporanea; le opere, esposte nelle dimore, entrerebbero in relazione con l’architettura, la storia e la memoria dei luoghi, creando un percorso unico che metterebbe in connessione passato e presente; un progetto che valorizza il patrimonio storico e al tempo stesso sostiene la creatività attuale, offrendo al pubblico un’esperienza immersiva e culturale di grande suggestione;
- organizzazione di mostre tematiche e temporanee nelle dimore, per attirare visitatori; a titolo esemplificativo: mostra sul ritratto (pensata con lo storico dell’arte Mario Panarello), mostra sui costumi antichi, mostra sulle cartoline d’epoca e mostra sulle stampe d’epoca e sui libri antichi (ricordiamo l’importante collezione di Raniero Pacetti, di cui auspichiamo la fruibilità)».

Le dimore storiche a Vibo
«Nella nostra città – continua la Murmura – insistono molte dimore storiche: alcune in stato di abbandono (Palazzo Romei, proprietà provinciale; Palazzo Cordopatri, proprietà privata); alcune che necessiterebbero di interventi importanti di restauro (Palazzo Gagliardi De Riso, proprietà provinciale; Palazzo Marzano, proprietà privata); altre in buone condizioni ma attualmente non aperte al pubblico (Palazzo Gagliardi, proprietà comunale; Palazzo Stagno d’Alcontres, Palazzo di Francia e Casa Ferrari, tutti proprietà privata)».

La presidente dell’Archeoclub d’Italia ricorda che «una sola casa museo è regolarmente aperta al pubblico. Mi soffermerò più a lungo su quest’ultima per illustrare il virtuoso percorso portato avanti dai proprietari: la famiglia Murmura, alla morte del suo più illustre rappresentante, il senatore Antonino Murmura, ha fondato un’associazione e una fondazione che portano il nome del senatore, e ha istituito la Casa Museo Antonino e Maria Murmura, che conserva le memorie della famiglia. Dall’estate scorsa, grazie ai fondi Pnrr, inoltre, si è dotata anche di percorsi per disabili che hanno consentito l’abolizione delle barriere fisiche e sensoriali. Tratto a parte, per importanza e particolarità, Palazzo Capialbi, custode di memorie materiali di valore inestimabile, i cui proprietari da sempre impediscono l’accesso anche agli studiosi che ne avrebbero diritto (in virtù di una prescrizione del Ministero della Cultura)».

Ravvivare i centri storici
«Sono convinta – conclude l’archeologa – che i proprietari delle dimore e dei beni materiali citati, che amano definirsi custodi e non proprietari, sarebbero ben lieti di mettere a disposizione i loro patrimoni per una fruibilità pubblica (di cittadini e turisti), naturalmente se adeguatamente incentivati e aiutati a sostenerne la custodia nell’interesse non privato ma collettivo, con lo scopo di rendere i centri storici in cui gli edifici sorgono luoghi vivi e contrastare lo spopolamento di cui il Sud è vittima, favorendo quella restanza di cui Vito Teti è sostenitore».