
Uno studio angusto e vissuto, colmo di cartelle in un reparto movimentato, di un ospedale chiacchierato, ci accoglie un uomo, un medico: ha l’aria mite e indulgente, il fare garbato, l’eloquio cordiale e composto. È lì da molti decenni, Vincenzo Natale, presidente della Società Italiana della medicina di emergenza – urgenza per la Calabria, direttore del Pronto soccorso dell’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia, un restante, abituato a lavorare molto, talvolta senza sosta, in un luogo per molti versi di frontiera, di “soglia”, per come la definisce il filosofo Giorgio Agamben. Ci riceve in qualità di presidente regionale del Simeu.
Ci racconta delle problematicità della medicina di urgenza calabrese, della pressione, determinata da una miriade di fattori, che si riversa come una potente cascata sui pronto soccorso, basterebbe pensare che è praticamente inesistente la medicina sul territorio. Una regione dove la definizione di “medico” diventa complessa, acquista sfumature eccezionali e il Pronto soccorso è l’unica finestra d’accesso per i bisogni sanitari, i medici di famiglia, nella gran parte dei casi, rivestono funzioni solo istituzionali.
Nei Pronto soccorso in Calabria «molteplici problemi»
«I problemi della medicina di urgenza in Calabria – ci racconta Vincenzo Natale – sono molteplici: registriamo costantemente un iper afflusso, perché mancano i medici negli ambulatori, questo provoca un eccesso di lavoro: al Pronto soccorso si arriva per qualsiasi cosa, originando confusione. Altro grande problema è la mancanza di posti letto per ricovero, che genera la consecutiva attesa, sovente in luoghi inadeguati, dopo la decisione del medico di assegnare il paziente ad una unità di degenza, quello che in termini tecnici chiamiamo “boarding” e che grava enormemente sul medico. È la principale minaccia per la qualità delle cure in emergenza, in quanto incide su una serie di parametri: tempestività delle cure, livelli di morbilità/mortalità, possibilità di errori sanitari, blocco delle ambulanze. Quest’ultimo è conseguenza diretta dell’esaurimento delle barelle, sulle quali giacciono i malati collocati impropriamente, in attesa del posto letto».
Ciò nonostante, la lista dei problemi è ancora lunga, come continua a spiegarci il dottore Natale: «La carenza di personale, gli spazi insufficienti: spesso e volentieri i Pronto soccorso sono arrangiati. Quello di Vibo è stato ricavato da un corridoio, per esempio. Quando sono arrivato, molti anni fa, c’erano due stanze. Questi fattori alimentano malessere nelle persone, le quali si caricano di frustrazione e riversano sui medici di urgenza una pressione insostenibile».
«Soluzioni semplici ma difficili di attuare»
«Le soluzioni sono facili ma difficili da attuare, perché mancano gli interlocutori. Bisognerebbe aprire gli ambulatori: serve una rete sul territorio in grado di offrire alternative alla corsa in ospedale per i casi meno gravi, tranquillamente trattabili. Strutture che accolgano pazienti già visitati in Pronto soccorso, non bisognose di cure ospedaliere, una specie di dimissione “protetta”. Altro nodo sarebbe quello di favorire le dimissioni precoci nei reparti, così da creare turnover accelerato, si chiama “Discharge Room” e serve a snellire il flusso di pazienti. Il potenziamento della medicina di urgenza, vitale per la sopravvivenza del sistema sanitario, dovrebbe essere un imperativo: io per esempio adesso ho sei posti, ma se si potenziassero con organico autonomo, sarebbero un polmone, si pensi a quanto questa soluzione potrebbe aiutarci con i pazienti geriatrici. Io spero caldamente che il commissario, dopo aver aperto i 112, si occupi della emergenza ospedaliera. Noi siamo pronti».
L’importanza di differenziare le cure
Il dottore Natale ci spiega come sarebbe necessario differenziare le cure all’interno dello stesso Pronto soccorso: «Allestire aree minori, punti dove curare le patologie più lievi, destinando magari un medico e un infermiere nell’accettazione e risoluzione dei pazienti con problematiche lievi. Una pratica che viene definita “See and Treat”. I triage potrebbero indirizzare i pazienti verso le sedi di trattamento adeguate. I codici verdi rappresentano il 30% del totale, i codici azzurri il 35%, i bianchi circa il 15%, i codici rossi solo il 2% e i gialli il 18%, dai numeri si capisce che esiste un problema importante di accessi impropri». Per i calabresi, in particolare, «il Pronto soccorso è una porta aperta per un terzo della popolazione, si registra un accesso quasi ogni secondo: è lo snodo principale delle richieste di assistenza medica».
La medicina di urgenza in Calabria: un coraggiosa scelta di vita
Nel corso della lunga intervista, il presidente del Simeu per la Calabria Vincenzo Natale, ci riferisce anche di alcune passate battaglie nell’ambito della medicina di urgenza, considerata in Italia e immaginiamo in Calabria una cenerentola: «Io nella mia carriera ho vissuto l’urgenza come un aspetto interessante, mai come un ripiego, sono arrivato a Vibo nel 1985 con i medici dei reparti che turnavano, non c’era la tac, non c’era neanche l’ecografia. Il 118 a Vibo lo creammo nel 1997, si organizzavano i corsi di rianimazione con i manichini, all’epoca formavamo i medici di guardia medica».
«Oggi sussistono problemi enormi, ma al tempo c’era una carenza di personale qui a Vibo mostruosa. Per cercare di ovviare all’assenza completa della medicina di emergenza, si diede vita in ad una integrazione dei medici di guardia medica che facevano, ovviamente chi voleva, 12 ore supplementari qui al pronto soccorso, fu mia l’idea. Organizzavamo i turni per come potevamo. Il Simeu, del quale faccio parte da molto tempo, mi ha aiutato a far comprendere molte dinamiche qui, in questo complicato territorio», asserisce.
Il dottore Natale è impegnato anche nell’inserimento dei medici venuti da Cuba, ce lo racconta così: «I medici cubani sono tecnicamente bravissimi, ma è necessaria una integrazione, un percorso studiato nella dialettica, nell’approccio con i nostri pazienti. In sala operatoria l’uomo è lo stesso ovunque, ma in corsia cambia».