Si distingueva, nella Sicilia magnogreca, quale centro propulsore di alta cultura. Un retaggio vecchio di millenni che Siracusa tiene a perpetuare nei tempi odierni, grazie all’Istituto Nazionale del Dramma Antico impegnato nel proporre annualmente spettacoli classici al Teatro Greco. Maria Concetta Preta, che impartisce lezioni di Latino e Greco al Liceo Classico “Michele Morelli”, da settembre sta conducendo per il pubblico de “Il Salottino” (collegato all’Associazione Socio-Culturale Vibo Valentia Città antica-Storia e società) un ciclo di incontri in preparazione alla visione delle opere in programma per questa 60^ stagione, prevista dal 9 maggio al 6 luglio.
Le origini della tragedia greca
Lo scorso appuntamento delle “Conversazioni sui miti greci”, il terzo sul teatro classico, aveva come titolo “La tragedia greca” e si è mosso dalla definizione di dramma, spesso ritenuto sinonimo di quella: era invece in generale, per il mondo greco-romano, un componimento letterario da rappresentare sulla scena, quali ne fossero le caratteristiche della trama. Anche le commedie erano perciò drammi! Ma il vero e più definito compimento dell’arte teatrale, esigenza imperativa per ogni cittadino greco e strumento di democrazia, non fu che il genere tragico, comparso ex abrupto dalla lirica corale dopo secoli di agoni tra cantori. Il tono e lo stile elevato ne facevano la prioritaria espressione culturale per l’Ellade e le colonie, e l’etimologia del nome pare porre la tragedia in relazione al canto e ai capri; musica danzata e recitazione mascherata, non a caso, gli ingredienti irrinunciabili.
Il mitico iniziatore sarebbe stato Tespi, in occasione della 61^ Olimpiade celebrata ad Atene tra il 536 e il 533 a. C., inventore della forma tragica e primo autore a staccare un componente dal coro ditirambico, trasformandolo in attore. Di Frinico, suo allievo, si narra fosse un maestro nell’illusione scenica, tanto da far piangere gli Ateniesi con “La presa di Mileto”, rievocazione di una recentissima piaga non ancora sanata. Fin dagli esordi, comunque, lo spettacolo risultava essere conseguenza di una scrittura tendente alla perfezione; il testo era la base di quello che veniva esperito alla stregua di un culto sacro, inserito in un calendario religioso.
I grandi della tragedia e del teatro classico: Eschilo, Sofocle ed Euripide
I copisti ci hanno tramandato in misura maggiore, della probabilmente vasta produzione tragica, i tre preminenti e inarrivabili autori, innovatori assoluti rispetto ai propri contemporanei: Eschilo, Sofocle ed Euripide. Avrebbe avuto senso impiegare preziose ore nel trascrivere opere simili l’una con l’altra? Ciascuno di loro apportò, al contrario, qualcosa di inedito. Eschilo introdusse il secondo attore, rendendo possibile il dialogo emancipato dal coro. Sofocle si concentrò sui singoli personaggi, slegandosi dai vincoli dello sviluppo per ampie trilogie. Euripide portò all’eccesso le rimodulazioni, azzardando addirittura l’impensabile lieto fine.
Ogni anno la pólis attica organizzava un concorso di scrittura, con una commissione incaricata di approvare le opere pervenute, ed è perciò che ci sono giunte quelle di qualità più significativa, magari distintesi per complessità. Comune era l’attingimento alla miniera mitologica, reinterpretata alla luce dell’attualità, tuttavia ieri come oggi il discrimine fra professionisti era dato dalla genialità che solo pochi di essi sapevano far fruttificare a beneficio del pubblico.

Il quarto incontro a “Il Salottino” con Titti Preta
Sabato 8 marzo alle 17:30, nella Giornata internazionale della donna, Titti Preta tratterà “Elettra e Antigone”, eroine dall’attualità spiazzante. L’eroe tragico è un filosofo, nei monologhi si sprofonda in abissi speculativi da brividi. Così i tragediografi nel teatro classico erano e rimangono maestri di vita, di umanità.