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Vibo, il declino dei siti archeologici. Maria Concetta Preta: «Cancelli e inferriate sbarrati impediscono di visitare le nostre bellezze»

Intervista alla docente e scrittrice vibonese sullo stato delle aree antiche del territorio comunale di Vibo Valentia, in larga parte inaccessibili al grande pubblico

di Titty Rando
6 Ottobre 2024
in Territorio
Vibo, il declino dei siti archeologici. Maria Concetta Preta: «Cancelli e inferriate sbarrati impediscono di visitare le nostre bellezze»

Cancelli chiusi a località Còfino a Vibo Vvalentia

Maria Concetta Preta

Maria Concetta Preta, appassionata di antichità fin da bambina, ha condotto seri studi universitari, è oggi docente di Lettere classiche al liceo classico “Michele Morelli” di Vibo Valentia, scrittrice affermata, esperta di archeologia, punto di riferimento per i giovani e promotrice di eventi legati alla riscoperta del patrimonio culturale. Non di rado, infatti, organizza gratuitamente, e per il gusto della condivisione della conoscenza, passeggiate culturali sui luoghi della storia. Il costante impegno culturale e l’amore per il patrimonio della città, ci spingono oggi a rivolgerle alcune domande sullo stato delle aree archeologiche presenti sul territorio cittadino.

Quali siti non sono ad oggi fruibili e perché?

«La situazione dei beni archeologici vibonesi è molto delicata. Cancelli e inferriate sbarrati ci impediscono di visitare le bellezze antiche. Il Parco archeologico di Vibo Valentia in area Sant’Aloe è in condizioni miserevoli, la domus e le terme romane sono sovrastate da erbacce e detriti, che coprono tesori inestimabili, come un favoloso ciclo di mosaici. Anche il sito con i basamenti del santuario di Demetra e Kore in località Còfino è visibile solo dall’esterno della cancellata. Chiuso inoltre il Castello di Bivona. Quindi sono fruibili il sito al Parco delle Rimembranze, area del telegrafo, con i resti di un tempietto a Proserpina protettrice dei naviganti, e al momento, fino a fine mese, le Mura Greche di Hipponion per le quali, scaduta la convenzione e il prolungamento orario del personale di servizio e delle guide archeologiche… cosa accadrà?».    

Cosa ancora manca affinché luoghi come il Còfino vengano aperti al pubblico?

«Non sono una dipendente della Sovrintendenza ai beni archeologici del territorio, perciò parlo da comune cittadina, stanca da anni di promesse inevase, cui viene precluso il diritto alla cultura. Credo che manchi il personale stanziato sul posto per l’apertura, la manutenzione, la chiusura, e che non vi siano investimenti e assunzioni stabili di archeologi, preposti alla piena fruizione delle aree. In fin dei conti il problema è sempre lo stesso: l’investimento nel campo della cultura e del turismo. Inoltre credo che manchi la volontà “politica” di smuovere una situazione reiterata che sta diventando una “macchia” per la nostra Vibo. Altrove non sarebbe mai accaduta una simile negligenza, basti pensare a come sia valorizzato il Mosaico del Drago di Kaulon. Infine, delegare ad associazioni l’apertura dei siti è solo una soluzione-tampone, tra l’altro non del tutto riuscita. Il problema è a monte: occorre rimuoverlo una volta per tutte».

Esiste una emergenza?

«Ovviamente, se le aree rimangono prive di custodia i vandali possono impunemente scavalcare i cancelli e apportare danni. Anni fa deturparono il sito del Còfino, squarciando con coltelli i bei padiglioni che fungono da coperture e appiccando un incendio, pare fosse un avvertimento di stampo mafioso. Noi cittadini siamo nauseati da notizie del genere: possibile che sul Parco archeologico la criminalità allunghi le mani? Con i miei studenti nel 2022 abbiamo organizzato una “Marcia per i Beni Archeologici” toccando proprio i luoghi dell’abbandono, dell’incuria, della preclusione e della sopraffazione, poiché anche in questo campo c’è la possibilità di liberare un’area dal vincolo archeologico e costruirci sopra un mostro di cemento».

Si potrebbe fare qualcosa per valorizzare maggiormente il patrimonio archeologico di Vibo?

«Prima di tutto, occorre conoscerlo questo inestimabile patrimonio. Solo dalla conoscenza si genera amore, senso di appartenenza e partecipazione attiva alla sua valorizzazione, non dico la salvaguardia perché essa non ci pertiene. Personalmente, ho promosso gratuitamente una serie di passeggiate museali e sui luoghi dell’antichità, ma anche nel centro storico, sede di un ricco patrimonio di beni culturali sparsi o latenti: chiese, palazzi, chiostri, cripte, camere mortuarie, sagrestie… quanti tesori nascosti non conosciamo? Continuerò a promuovere queste iniziative, specie con i ragazzi. Si inizia da piccoli a conoscere la propria città».

Il nostro Museo custodisce reperti unici al mondo. Ritiene che tale ricchezza sia valorizzata?

«Certamente il nostro Museo Vito Capialbi è all’altezza della situazione, fin dal 1969, anno della sua istituzione. Dal 1995 poi, trasferito al Castello di Federico II di Svevia, gode di un allestimento museografico molto funzionale, per l’epoca innovativo, e che in futuro sarà migliorato. Esso preserva una serie di reperti di varia tipologia che fanno capire la ricchezza delle officine e delle botteghe della polis di Hipponion e del municipio di Vibo Valentia. Voglio ricordare tra i suoi fiori all’occhiello: la laminetta aurea di contenuto orfico, una delle più rare testimonianze di una credenza misteriosofica di ascendenza pitagorica; e poi la serie dei bronzi e il busto di Agrippa e, dulcis in fundo, la nostra bellissima “Messalina Valentina”, come amo chiamarla, in pregiato marmo scuro».

“Il segreto della ninfa Scrimbia” è uno dei suoi romanzi più noti. Esiste realmente la Fonte Scrimbia?

«Non avrei ricamato un ordito da romanzo giallo-archeologico se non avessi voluto restituire pregnanza a monumenti abbandonati di Vibo, in quanto ho scritto per denunciare! La fontana della Ninfa Scrimbia, il cui rudere negletto, è inglobato in una muraglia di cemento armato, a sostegno della collina sotto la quale v’era la stipe votiva di Scrimbia, esiste davvero e si trova in via Alcide de Gasperi, ma è poco valorizzata, così com’è. Un resto anonimo di una fontana che è stata per secoli il simbolo della città, collegata al mito di una ninfa silvestre che muore per amore e si muta in una fonte di acqua prodigiosa». 

Ogni anno lei aderisce all’appuntamento promosso dalla Comunità Europea sull’adozione di un monumento. Qual è la risposta degli studenti a tale invito?

«Entusiastica, direi. Sono la coordinatrice de “La scuola adotta il Monumento” – Fondazione Napoli 99 e quest’anno abbiamo scelto la Cappella funeraria gotico-angioina De Sirica-Crispo. Pensate che molti dei presenti non erano mai entrati in questo straordinario sacello artistico. L’affluenza giovanile alla Giornata Europea del Monumento (9 maggio) ci ha premiato per l’impegno profuso: si tratta di proficue iniziative, fatte con slancio democratico ed umano, assegnando alla cultura il valore di aggregante sociale».

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