Gli operatori sanitari vibonesi, spesso e volentieri, si trovano a fronteggiare criticità che vanno in contrasto con le competenze professionali che hanno acquisito. Un aspetto che si ripercuote di conseguenza anche sui pazienti e sul loro diritto alla salute. Lo sa bene Alessia Piperno, dottoressa presso la medicina di emergenza – urgenza dell’ospedale “Jazzolino” e attiva in qualità di delegata provinciale del Sindacato medici italiani di Vibo Valentia. Determinata nel tenere alta l’attenzione sui diritti degli operatori sanitari, la giovane delegata dello Smi ha analizzato tanti aspetti che sono connessi a questa problematica. Riportiamo qui in basso l’intervista che ci ha gentilmente concesso.
Quali aspetti possono dare un sostegno agli operatori sanitari del territorio provinciale?
«Il primo doveroso passo, a mio parere, deve essere improntato a valorizzare chi, nonostante le carenze strutturali e di personale che “impongono” turni massacranti, continua ad indossare la propria divisa con professionalità ed immenso spirito di servizio. Gli avvenimenti successi, dalla morte di Serafino Congi a quella della nostra concittadina Martina Piserà, dalla Tac fuori servizio ad un intero presidio ospedaliero senza rete internet, hanno contribuito ad aumentare in modo drammatico il divario che già da troppi anni si sta avvertendo tra cittadini e sanitari».
Le competenze degli operatori sanitari in che modo non sono agevolate dal non adeguato efficientamento dei presidi ospedalieri?
«Il medico, o più in generale l’operatore sanitario che oggi pratica nella sanità vibonese, si reca a lavoro già consapevole che non verrà “giudicato” solo per il suo operato, per servire un soccorso efficiente e per una diagnosi corretta ed una terapia appropriata. Tutto ciò è sempre in secondo piano rispetto alla sedia a rotelle che manca, al posto letto inesistente ed a tutte quelle carenze strutturali per le quali viene accusato, pur non avendo alcuna responsabilità. Siamo sanitari, non gestiamo la sanità calabrese, ci siamo laureati, abilitati e specializzati per trovare diagnosi ed impostare terapie adeguate, per andare a lavorare in strutture che altri, purtroppo troppo spesso non sanitari, hanno costruito e gestiscono, per utilizzare presidi che sempre gli stessi dovrebbero preoccuparsi di farci trovare al nostro ingresso in reparto. Bisognerebbe incoraggiare questi colleghi a dare sempre di più, fornire loro gli strumenti necessari per puntare all’eccellenza, rivalutando una sanità vibonese che rimane troppo spesso sotto accusa».
Quali sono, dal suo punto di vista, gli esempi di buona sanità nel nostro territorio?
«Nella nostra provincia abbiamo diverse realtà che funzionano, ma che lo fanno in silenzio, questo non va bene. Pensiamo all’oncologia di Tropea, con a capo il primario dott.ssa Arena, punto di riferimento di un’intera provincia, al reparto di proctologia sempre a Tropea diretto dal dottore Cafaro che, solo nel 2024, ha realizzato circa 140 interventi e 1.200 prestazioni ambulatoriali e che oggi è fermo per la mancanza di anestesisti nel presidio ospedaliero (ricordo che ancora oggi è presente un solo medico cubano rianimatore, non anestesista). Un plauso andrebbe anche al reparto di chirurgia, guidato dal dottore Zappia i cui meriti sono stati più volte dichiarati dagli stessi pazienti sulla stampa locale, pensiamo ancora al reparto di cardiologia e Utic, diretto dal dott. De Nardo e, anche in questo caso, sono gli stessi pazienti che dall’interno del reparto sottolineano l’umanità e la professionalità di tutti gli operatori che vi prestano servizio. Va menzionato anche il reparto di neurologia con stroke unit, con a guida il dottore Galati che, nel periodo del Covid 19, si è distinto come il primo reparto del sud Italia a somministrare il vaccino specifico, destinato ai pazienti affetti da sclerosi multipla. Queste sono alcune delle realtà che oggi troviamo nella nostra provincia e che sono esempio di buona sanità».
Spesso si affronta il tema che è relativo all’eccessiva privatizzazione del settore sanitario. In tal senso, quali politiche sociali potrebbero creare un equilibrio?
«La sanità pubblica e quella privata offrono servizi differenti e, in un servizio sanitario che funziona, dovrebbero coesistere. Chi si rivolge alla sanità pubblica lo fa spesso in condizioni di emergenza, per le quali l’accesso in ospedale è garantito dal servizio di emergenza-urgenza territoriale (Suem 118) o nei casi in cui il paziente si rivolge all’ospedale in maniera autonoma, da tutto il personale operante nel Pronto soccorso dei vari presidi ospedalieri. Dopo il primo accesso, chi necessita di percorsi diagnostici più accurati è portato quindi a scegliere se rivolgersi o meno alla sanità privata. Alla base del diritto insurrogabile alla sanità pubblica, permane proprio questa scelta».
Come si può offrire sicurezza ai pazienti che vogliono affidarsi alla sanità pubblica?
«Bisogna investire nel settore dell’emergenza-urgenza, a livello territoriale, in tutti quei reparti come medicina interna, chirurgia generale, ginecologia ed ostetricia, neurologia e stroke unit, cardiologia e Utic, la cui efficienza determina la scelta finale del paziente. Quest’ultimo, non può e non deve rivolgersi alla sanità privata perché obbligato da interminabili liste d’attesa, mancanza di posti letto, mancanza di personale e di presidi base. Ascoltiamo i nostri medici, entriamo nei loro reparti ed osserviamo con occhi sinceri tutto ciò che manca e che, a volte, può essere banalmente risolto».
In base alla sua esperienza, quali aspetti possono fornire un rapporto di costante sinergia tra l’Asp e l’operato del personale sanitario?
«Come in ogni famiglia che si rispetti, anche in campo sanitario serve il dialogo. Troppe volte veniamo a conoscenza di richieste passate inosservate, email e pec spedite senza alcuna risposta. Bisogna incoraggiare il personale sanitario a dialogare con i dirigenti Asp e a ritrovare la fiducia in una comunicazione che negli anni è andata persa, a segnalare tutte le difficoltà che incontrano giornalmente con le loro proposte risolutive. Le difficoltà possono essere risolte solo con un lavoro di costante energia tra Asp e personale sanitario, tra chi dirige e chi ogni giorno indossa camice o divisa nonostante tutto. Bisognerebbe istituire un tavolo tecnico che si riunisca a cadenza bimestrale. Questo può essere un modo per confrontarsi sistematicamente, per portare le problematiche alla luce del sole e per trovare una soluzione che garantisca la tutela del paziente».
In merito al servizio delle ambulanze, integrate nel periodo estivo nel territorio di Vibo, come si presenta la situazione attuale?
«Volendo analizzare le scelte fatte da Regione Calabria ed Asp di Vibo, risulta a mio parere ancora più evidente l’importanza di coinvolgere e lasciarsi guidare nelle proposte risolutive da chi questo lavoro lo pratica ogni giorno. Per quanto riguarda le ambulanze private che affiancheranno il 118, e sottolineo private, bisogna subito fare una distinzione. Da un lato abbiamo le ambulanze Victor, messe a disposizione dalla Regione Calabria, con personale laico, ma che la Regione sta attualmente provvedendo a formare. Queste sono presenti su tutta la Regione, saranno attive per cinque anni e prevedono cinque postazioni, Vibo Marina, Filadelfia, Mongiana, Nicotera e Pizzo. Quando partiranno? Non è dato saperlo. Per fortuna entra in gioco il commissario Piscitelli che approva l’apertura di 4 postazioni estive (quindi diverse dalle Victor) che saranno attive per soli 2 mesi e saranno a Vibo Marina, Filadelfia, Mongiana e Nicotera. Anche qui, ambulanze private e personale laico. In questo caso, però, il periodo è breve».
Quanto è importante la presenza del personale sanitario all’interno di queste specifiche ambulanze?
«Il personale in questione, anche se non sanitario, fornirà un’importantissima mano d’aiuto come già l’anno scorso abbiamo constatato, in un periodo di grande flusso turistico. Potranno offrire un primo soccorso in attesa del nostro arrivo. Il personale di una postazione che resta attiva per 5 anni, per quanto opportunatamente formato, non può essere laico. Il 118 deve favorire la medicalizzazione delle ambulanze e la presenza almeno di un infermiere. Chi sta comodamente seduto nelle poltrone del proprio ufficio, non può pensare di giocare con ambulanze e personale come fossimo pedine di una scacchiera. Il medico di un’ambulanza soccorre arresti cardiaci, pazienti annegati, impiccati, politraumi da incidenti stradali, donne gravide che potrebbe anche partorire in ambulanza, pazienti in shock anafilattico per aver mangiato una caramella per sbaglio, ustionati di vario grado, anche gravissimo e mi fermo perché la lista sarebbe troppo lunga».
In che modo si può efficientare il ruolo delle ambulanze con l’inserimento del personale sanitario?
«Garantire la presenza di personale sanitario su un’ambulanza è il minimo che si possa fare a tutela della salute di ogni cittadino. Il personale laico non potrà fare altro che portare il paziente in Pronto soccorso anche per un’unghia incarnita. I pronto soccorso arriveranno a scoppiare così facendo, in quanto si troveranno pazienti arrivare da ogni dove. Il territorio va rinforzato, ma con personale sanitario. Solo il medico sull’ambulanza può trattare il paziente e, quando possibile, evitare il suo ingresso in pronto soccorso».